Recensione di: Invictus
Invictus (L’invincibile) è un film di Clint Eastwood del 2009. Attraverso la narrazione del mondiale di rugby del 1995 vengono descritti i primi anni di governo del presidente sudafricano Nelson Mandela. Eastwood riuncia però a una biografia classica del politico optando per un ritratto non convenzionale dell’uomo, mitizzando quasi la figura di Madiba ma non rinnegandone le debolezze umane (senza però approfondire eccessivamente vita privata e passato rivoluzionario). La pellicola è quindi incentrata sulla figura del carismatico leader dell’ANC e sulla sua lotta per unificare il suo popolo dopo la caduta dell’apartheid (1995). Le ferite continue provocate dalle intemperanze razziali vengono curate dal senso di fratellanza che Mandela riesce a trasmettere attraverso l’identificazione nel rugby per un evento di risonanza mondiale. In tal senso la visione di Eastwood è forse eccessivamente idealista, candidando il film a una sorta di inno allo ‘sport che unisce’ (emblematico il toccante allenamento della squadra tra i bambini), sicuramente un tema vero ma che troppe volte nella realtà viene disatteso. Mandela è interpretato in modo ineccepibile dal sempre verde Morgan Freeman, decisamente a suo agio nei panni del capo di stato e con una vaga somiglianza somatica che non guasta assolutamente. L’altro protagonista del film è Matt Damon, nei panni di François Pienaar, capitano degli Springboks. L’interpretazione di Damon è intelligente e senza sbavature. Il suo personaggio infatti non è il classico eroe sportivo che da solo risolleva le sorti di un mondiale, ma un vero capitano con coraggio e carisma, in grado di guidare (ma senza comandare, come viene più volte evidenziato) i suoi ragazzi. Una particolare menzione merita il momento più toccante del film, con la visita alla prigione dove per quasi 30 anni venne rinchiuso Mandela. ‘I am the master of my fate, I am the captain of my soul’. I versi del poema di William Ernest Henley echeggiano solenni e potenti, lasciando un segno indelebile nello spettatore.
Daniele Riccardelli