Recensione di: Miracolo a Le Havre
La Normandia è per antonomasia terra di confine, da passare o da abbandonare. E’ in queste terre battute dal vento e dal freddo che il regista finlandese Aki Kaurismäki decide di ambientare la sua personale visione del fenomeno dell’immigrazione clandestina. Marcel Marx è un ex scrittore bohemienne che sbarca il lunario facendo il lustrascarpe in giro per la città di Le Havre. La sua vita decorosa e modesta, viene sconvolta dall’improvvisa malattia che colpisce sua moglie Arletty, inizialmente decisa a nascondergli il fatto. Un giorno, nei pressi del porto della città, l’uomo si imbatte in un giovane profugo africano, in viaggio verso l’Inghilterra. Marcel, prese a cuore le sorti del ragazzo, farà di tutto per trovare la somma di denaro necessaria a farlo ricongiungere con la sua famiglia. Dallo stile sobrio e leggero, ma che sottende un profondo rispetto per il tema trattato, il film di Kaurismäki, presentato in Concorso al Festival di Cannes 2011, riceverà il Gran Premio Torino assegnatogli dal Torino Film Festival, per celebrare i trent’anni di carriera. Il “lascia passare” per oltrepassare la Manica, alla volta del “paradiso” in terra, transita attraverso la consapevolezza di sé e dell’altro, e negli occhi di un ragazzo impaurito, spaesato ma assolutamente determinato, rivediamo le migliaia di persone che hanno intrapreso lo stesso viaggio/percorso, con la speranza mai fievole di una vita migliore. Il film è ricco di personalità, prima ancora che di personaggi, ognuna con il proprio vissuto il quale arricchisce la vicenda di un realismo sofisticato, al quale contribuisce un’ambientazione portuale malinconica. La pellicola è un piccolo gioiellino nel magma inespugnabile delle grandi produzioni. Attraverso una messinscena definita nei minimi dettagli e dal gusto retrò, accompagnata da una recitazione quasi teatrale, Miracolo a le Havre restituisce allo spettatore una storia quanto mai attuale e drammatica, senza mai sforare nel patetismo. Delicatezza e moderazione sono i punti di forza di questo film, e in generale dello stesso Kaurismäki, che con stile delinea una storia alla Frank Capra, per un pubblico desideroso di miracoli.
Serena Guidoni