Finalmente maggiorenni – Recensione
Trasposizione cinematografica della brit com “The Inbetweeners”, “Finalmente maggiorenni” arriva nelle sale italiane dopo aver realizzato in patria 45 milioni di sterline a fronte di un costo di appena 3 milioni. Prodotto dalla Bwark Production e Young Films, finanziato dalla stessa Channel 4, nel film ritroviamo gli stessi sceneggiatori della popolarissima serie inglese: Iain Morris e Damon Beesley. C’è da giurare però che il successo ottenuto non sia nell’originalità del soggetto. Quattro compagni di classe, abbandonati dalla dea della fortuna e della bellezza, vivono, in quanto zimbelli della scuola, un’adolescenza traumatica, ma, terminato il college e raggiunta la maggiore età, decidono di fare i bagagli e lasciarsi alle spalle in un sol colpo lo squallido grigiore della periferia britannica, genitori pedanti, sfiga e soprattutto la verginità. Col chiodo fisso del sesso e delle donne, guidati dall’ormone e da un unico neurone, Will , Simon, Jay e Neil partono così per Creta, destinazione Malia, località celebre per feste e vita notturna.
Sfiga e figa, si sa, sono il binomio perfetto; ne sono convinti anche i due sceneggiatori, che, col minimo sforzo, trasportando di peso i quattro protagonisti sul grande schermo, dando fondo alle idee e alle gag della serie, e permettendosi il lusso di lasciare la direzione ad un regista televisivo, Ben Palmer, finiscono col confezionare un “filmaccio” pieno zeppo di volgarità e comicità demenziale che, raggiungendo il giusto pubblico di adolescenti, non può non riuscire nel proprio intento: far ridere.
La crescita dei ragazzi lontano da casa e la morale sull’amicizia rimangono belle idee ma solo nelle intenzioni degli scrittori, e seppure il film abbia il merito di presentare un ritratto per certi versi anche realistico di certe vacanze con le immancabili liti tra amici ed hotel che al momento della prenotazione sembravano quantomeno differenti, l’attenzione dello spettatore sarà calamitata unicamente da sketch che il limite della decenza lo superano senza alcuna difficoltà.
Tra un’ auto-fellatio e un uso scorretto del bidet si susseguono battute grossolane ed oscene, a volte anche banali e scontate, a cui si accompagna un linguaggio ai limiti del traducibile e difficilmente doppiabile, tutte caratteristiche che avrebbero fatto gridare allo scandalo e sventolare “forbicioni” se solo il film fosse stato prodotto qui in Italia.
Che l’apprezzamento della critica d’oltremanica non sia sinonimo di qualità è indubbio, è altrettanto evidente però che il film non abbia certo l’obbiettivo di ritagliarsi uno spazio nella storia del cinema, e nasca col solo intento di far ridere, risultato a cui neanche il più compassato degli spettatori potrà in fondo sottrarsi.
Daniele Finocchi