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Recensione di: The Iron Lady

Il biopic è un genere cinematografico che negli ultimi anni ha ritrovato una sua precisa collocazione e innovazione stilistica. Incentrare un film su un personaggio che, per meriti o demeriti, ha apportato un importante contributo alla Storia, rappresenta un canale preferenziale per farci, allo stesso tempo, interrogare sugli accadimenti del nostro tempo. Margaret Thatcher, icona di tradizione, rigore e profondo senso della politica, è stata in più occasioni, come Primo Ministro,  anche rappresentante di una politica “repressiva” che ha messo quasi in ginocchio un’economia, come quella britannica, fondata su una determinata visione industriale. La regista Phyllida Lloyd (Mamma Mia!, 2008), dirige questo omaggio alla Lady di ferro, e per farlo riconvoca per l’occasione l’inaffondabile Meryl Streep che grazie a questo ruolo ha ottenuto un Golden Globe, ed è in lizza per (l’ennesimo verrebbe da dire!) Premio Oscar. Un film che nonostante parta da presupposti più che lodevoli (è, infatti, intrinseca una volontà di umanizzare un personaggio profondamente radicato nella sua facciata/visione pubblica), si perde inevitabilmente nella eccessiva devozione e fiducia nelle (indubbie!) capacità attoriali e mimetiche della Streep. Attraverso flashback ed allucinazioni di una Thatcher in piena demenza senile, distante dai fasti di un tempo, intraprendiamo un viaggio che rievoca la sua ascesa politica, ma che rivela sin dalle prime inquadrature un’eccesiva celebrazione del mito. Se la sceneggiatura ben scritta aiuta nella comprensione degli intricati avvenimenti politici e privati della Lady di ferro, non si può dire lo stesso della regia, eccessivamente succube e votata all’adorazione della Streep, la quale con disarmante bravura è stata capace di interpretare un personaggio così complesso (la cura nella riproduzione della voce e dell’accento british della Thatcher è assolutamente impeccabile). La Lloyd dirige un film che non corre il minimo rischio ma rimane estremamente “corretto”, anche di fronte ad avvenimenti drammatici come la questione IRA o la rivolta dei minatori. Nel film manca totalmente una visione personale del personaggio, appiattito e schiacciato da una regia fin troppo didascalica, che basa tutta la sua cifra narrativa sulla bravura della protagonista.

Serena Guidoni
 

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