Sulla strada di casa – Recensione
Geografia dell’Italia della crisi. Da nord a sud. Imprenditori in difficoltà che si improvvisano corrieri per la malavita meridionale che gli fa trasportare carichi delicati al nord. Triste e dolorosa storia, radiografia di una discesa agli inferi, Sulla strada di casa è un film coraggioso. Sotto diversi punti di vista. In primis sotto l’aspetto produttivo.
Realizzato senza l’ausilio di finanziamenti ministeriali (curiosamente non concessi a un’opera che poteva averne i requisiti) ma da una produzione indipendente con un budget davvero basso (meno di trecentomila euro), il film è diretto da Emiliani Corapi, qui al suo primo lungometraggio. Avvalendosi di una sceneggiatura coraggiosa e di un cast di tutto rispetto (che con scelta ammirevole si è accontentato di una paga minima), l’esordiente regista fa il miracolo.
Ecco la storia. Alberto (Vinicio Marchioni) è un piccolo imprenditore ligure in serie difficoltà. Mosso da crescente bisogno di soldi, l’uomo inizia a fare il corriere per una potente organizzazione criminale. L’incarico sembra semplice: ritirare un carico di merce a Reggio Calabria e trasportarla al nord. Alla moglie Laura, che ha sempre apprezzato la sua onestà, l’uomo nasconde i veri motivi dei suoi viaggi. Ma proprio mentre Alberto sta per partire, le cose si complicano: alcuni malviventi, interessati al carico illecito che sta per prelevare, si introducono in casa sua e sequestrano la sua famiglia intimandogli di portare a loro, anziché alla destinazione stabilita, il carico che sta per ritirare. Alberto arriva a Reggio Calabria per effettuare il ritiro. Ma qualcosa va storto. Sulla sua strada, il piccolo imprenditore ligure incrocerà Sergio (Daniele Liotti), un nuovo corriere ingaggiato dai malavitosi calabresi al suo posto. Il destino dei due uomini sembra giunto al punto cruciale di non ritorno.
Un compito non facile ma senza dubbio riuscito, creare un vero “atlante della crisi”, una mappa geografica che corrisponda a un doloroso itinerario interiore. Non uno, ma due percorsi, i percorsi di due anime disperate, di due uomini giunti sul ciglio di un pericoloso precipizio. Bella esemplificazione: l’Italia, il suo territorio e il suo paesaggio “fisico” (dal nord della Liguria, da cui prende le mosse la storia, al sud di Reggio Calabria, lembo ultimo del territorio peninsulare e poi di nuovo su fino all’astigiano, dove la vicenda ha il suo tragico epilogo) ma anche il suo paesaggio “umano” nel suo disgregarsi sotto i colpi della grave crisi economica.
Il film sorprende per l’attenzione alla realtà rappresentata che rivela un’idea di cinema come scrittura “dentro” il reale, un pugno nello stomaco che spiattella in faccia allo spettatore la realtà della precarietà e della crisi. Al centro, un tema eterno: la difficoltà di mantenere integra la propria identità e i propri valori in un momento di grave emergenza. I due protagonisti del film sono due vinti che hanno collezionato fallimenti, ma sono anche due facce della stessa medaglia, è come se il disperato e solitario Sergio fosse la proiezione nel futuro dell’imprenditore in difficoltà Alberto.
Un avvicendamento cruciale. L’uomo strozzato dalle difficoltà e caduto in un pericoloso ingranaggio criminale finirà per lanciarsi in una folle corsa per le strade secondarie della penisola inseguendo un uomo che potrebbe essere l’altra faccia di sé stesso. Solo ad uno dei due verrà data la possibilità di una catarsi e (forse) di una redenzione passando attraverso il gesto estremo e violento.
Ottime le prove dei due attori, il sempre più lanciato Vinicio Marchioni e il ritrovato e maturato Daniele Liotti. Partecipazioni illustri sono quelle di Donatella Finocchiaro nei panni della ignara e troppo ingenua moglie di Alberto, di Claudia Pandolfi (poco più che un cameo il suo) nel ruolo della ex compagna di Sergio e di Massimo Popolizio nelle vesti del boss malavitoso calabrese.
Un film asciutto, teso, rigoroso, dalle decise tonalità noir ma lontano dalle gabbie del film di genere, drammaticamente efficace. Una piccola perla. Peccato che le istituzioni preposte a promuovere il nuovo cinema italiano non se ne siano accorte.
Elena Bartoni