ATM – Trappola Mortale – Recensione
Scritto da Chris Sperling (“Buried – Sepolto”), segna l’esordio alla regia del londinese David Brooks. Notte di Natale. Al termine di una festa aziendale, l’impacciato David riesce a convincere la bella Emily a farsi accompagnare a casa da lui. A loro si accoda Corey, collega scavezzacollo, il quale durante il tragitto chiede di fermarsi ad un bancomat per un prelievo. Fuori dalla cabina, nel parcheggio vuoto di un centro commerciale, compare improvvisamente un misterioso assassino. Come a dire che nella moderna civiltà occidentale, in apparenza scrupolosamente controllata e monitorata, la nostra sicurezza è in realtà una fragile illusione che può sgretolarsi al primo scossone. L’azione è circoscritta in un’unica location, isolata ed assediata, con la rigida temperatura come ulteriore guastafeste, nonché abbondanti dialoghi fra i protagonisti a fare da filo conduttore. A questo punto è impossibile non pensare ad un altro recente thriller di situazione, “Frozen”, ma la premessa può riportarci anche al sottovalutato “-2- Livello del terrore” (anch’esso, guardacaso, di ambientazione natalizia). Detto ciò il guaio di “ATM” non sta, e ci mancherebbe, nell’essere un prodotto in qualche modo derivativo rispetto ai suddetti film. Sta piuttosto, ahinoi, nell’essergli irrimediabilmente inferiore sotto tutti gli aspetti. Il ricorso allo stereotipo (il timido patentato, l’amico cialtrone perennemente a corto di liquidi) sarebbe perdonabile, se le psicologie dei personaggi portassero avanti una giostra degli spaventi funzionante a tempo pieno. Invece si gira spesso a vuoto. L’atmosfera c’è, mentre la suspence è a singhiozzo e la gestione dei tempi narrativi è addirittura dilettantesca. Regia debole, frequenti scivoloni nella banalità e nell’ingenuità, colpi di scena scontati. Proprio la prevedibilità è il difetto più grave della sceneggiatura, soprattutto perché ne derivano costernanti parentesi tragicomiche. Impagabile la scena dello strangolamento ( non aggiungiamo dettagli), gag involontaria degna del miglior Fantozzi. Pollice verso per il cattivo, anonimo e stra-visto, che non diventa mai spauracchio e resta una figura inconsistente dall’inizio alla fine. All’attivo c’è almeno l’impegno dei tre attori principali, con l’ottimo Josh Peck (Corey) una testa sopra i suoi due colleghi. Da archiviare in fretta come volenterosa e poco soddisfacente “opera prima”.