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17 ragazze – Recensione

Fra le cinque liceali come tante abitanti a Lorient, una comune cittadina sull’Atlantico francese, c’è Camille, diciassettenne leader del gruppo. Quando rimane incinta, improvvisamente la sua condizione la rende diversa dalle sue amiche, come un essere speciale e saggio, in lei si fa strada un’idea sempre più bizzarra e utopistica, ovvero quella di crescere con le altre i loro figli tutte insieme, come in una comune, con il supporto e la vicinanza di ognuna, senza alcuna interferenza dal mondo adulto, per avere il libero arbitrio delle loro scelte e dei loro sbagli.
Camille riesce ad affascinare le ragazze con la sua visione comunitaria, e diciassette di loro decidono di seguirla in questa folle idea, così ognuna a differenza di pochi giorni dall’altra scopre di aspettare un bambino. Genitori e insegnanti restano sbigottiti e scioccati di fronte a tale scelta, che viene definita dalle stesse un atto “politico”, senza riuscire a persuaderle nel ragionare e cambiare idea. Il gruppo di Camille è felice della sua situazione, si sentono come le uniche abitanti di un mondo a parte, un mondo loro, invincibile, almeno fin quando un brusco incidente non riporta tutto alla realtà.
Le sorelle Coulin firmano un’opera prima spiazzante e toccante, ispirato a fatti realmente accaduti in una cittadina americana del Massachusetts nel 2008, la pellicola è da subito penetrante e irreale, quasi fiabesca, come se quell’isola felice e utopistica non esistesse realmente, come se il mondo idealizzato da Camille e le sue compagne non sia davvero alla fine frutto di immaginazione, rarefatto. Con la loro acerba bellezza, le protagoniste di questo coraggioso film, veicolano la recitazione attraverso il corpo, mostrandolo nelle sue molteplici sfaccettature, tra le difficoltà di coesistere in un gruppo che ha deciso di ribellarsi a dei genitori troppo assenti e per farlo ha deciso di azzardare la scelta più assurda, diventare madri tutte nello stesso periodo. La bellezza e la complessità dell’adolescenza ci viene mostrata attraverso il corpo e la mente, in quel mistico periodo della vita umana in cui mai fra loro sono più in conflitto, qui aggravati dalla componente della gravidanza, programmata come fosse un ballo scolastico di fine anno, senza accompagnatore, si perché la figura del compagno, del ragazzo è del tutto smitizzata e relegata in secondo piano. In questo manca la poetica pellicola, nel cercare di spiegare a fondo, o di provare a comprendere il perché di tale scelta: ribellione, irresponsabilità o avventatezza? Non si approfondisce mai realmente la motivazione, rimane un celato sguardo razionale che mostra semplicemente una storia, stilisticamente matura, portata su grande schermo dalle sorelle Delphine e Muriel Coulin.

Sonia Serafini

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