Pollo alle prugne – Recensione
Esattamente come per il bellissimo e commovente Persepolis, Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud tornano dietro la macchina da presa e dirigono un’altra graphic novel della Satrapi, questa volta non costruendo l’intero film sui disegni dell’autrice (presenti comunque in alcune scene) ma utilizzando degli attori in carne e ossa. Siamo nella Tehran del 1958, ed è qui che incontriamo il famoso violista Nasser Alì Kahn, caduto in una profonda ed irrimediabile crisi depressiva dopo che il suo amato strumento è stato distrutto. La sua ricerca spasmodica nel ritrovare un violino che gli riporti la felicità nel suonare e di conseguenza nella vita, lo conduce sino ad imbattersi in uno Stradivari appartenuto a Wolfgang Amadeus Mozart. Ma anche il più prodigioso dei violini non sarà in grado di sostituire quello che lo ha accompagnato nella sua carriera. La consapevolezza di non poterlo rimpiazzare fa propendere il musicista verso il suicidio, pensato per se stesso non come un atto barbaramente violento ma come un lasciarsi lentamente andare. Negli otto lunghi giorni seguenti a questa decisione Nasser Alì ripercorrerà nella mente le tappe fondamentali della sua vita, nella quale c’è spazio per un dolore profondissimo legato ad una donna, Iràne. L’impianto narrativo si regge su un evidente contrasto fra la prima parte divertente ed onirico-favolistica nella quale vediamo un Mathieu Amalric perfettamente adatto nel ruolo del protagonista, ed una seconda nella quale il pathos e la commozione prendono il sopravvento. Questa ambivalenza è di norma un espediente vincente perché mette lo spettatore nella condizione di assorbire la vicenda passando dall’elemento comico a quello drammatico, con una conseguentemente immedesimazione nel personaggio. Ciò purtroppo non avviene quando l’analessi iniziale (ovvero i flashback) vince nettamente sulla prolessi finale (cinematograficamente parlando i flashforward). L’escalation di tristezza che pervade sul finale sortisce l’effetto di allontanamento dalla storia, mentre l’exploit della prima parte, così gradevole ed intrisa di una piacevole comicità grottesca, sottolinea la capacità della Satrapi di raccontare il proprio contesto sociale (quello iraniano) con la giusta dose di ironia e romanticismo.
Serena Guidoni