Hunger Games – Recensione
In una sempre più massiccia sudditanza nei confronti dei media, dove le regole dello show business sono dettate dal grado di sfrontatezza e intemperanza di chi anela a farne parte, quella del gioco perverso e crudele degli Hunger Games sembra una “realtà” che ci si auspica inimmaginabile. Ma se di lungimiranza si parla in merito al lavoro di George Orwell, che seppe prospettare con tanta verità il dominio dei totalitarismi in 1984, ci si può permettere di affibbiare il medesimo aggettivo a Suzanne Collins? Autrice dell’ultimo fenomeno di letteratura young adult, cucito sulle basi di quella narrativa distopica ritornata in auge negli ultimi anni, specialmente fra i più giovani, la scrittrice americana serve su un piatto d’argento alla produzione cinematografica Usa, un cavallo vincente al box office. In una realtà post-apocalittica in quelle che sono le rovine del Nord America, chiamato lo stato di Panem, ogni anno, come commemorazione e monito per una ribellione scoppiata molti anni prima, il Governo seleziona un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni da ognuno dei dodici distretti che si dovranno sfidare agli Hunger Games. Reality show a tutti gli effetti, seguitissimo dal popolo della “ridente” Capitol City, centro nevralgico di ricchezza e benessere, gli Hunger Games sono oltre che un evento televisivo nazionale, anche un mezzo con il quale la politica mantiene rigore e ordine nei vari distretti, specialmente gli ultimi, dove la sofferenza e la fame sono veicoli per delle micce pronte ad esplodere. Veri e propri Tributi di questa “serenità”, i ventiquattro giovani estratti a sorte dovranno combattere per la sopravvivenza, in un gioco al massacro che prevede un unico vincitore. Tra questi vi è Katniss, appartenente al Distretto 12 ( il più povero e disagiato), che per salvare la sorella più piccola, estratta per i giochi, decide di offrirsi volontaria. Gary Ross, regista piuttosto parsimonioso (dietro la macchina da presa solo in due precedenti pellicole tra cui Pleasantville del 1998) prende in mano le redini di questo successo letterario e traspone per il cinema il primo romanzo tratto dalla trilogia Hunger Games, avendo a disposizione (cinematograficamente parlando) gli echi di un capolavoro di genere come Battle Royale di Kinji Fukasaku (adattamento dell’omonimo romanzo di Koushun Takami pubblicato nel 1999), decisamente più crudo e visivamente più sadico. Pregio e difetto della regia di Ross è l’eccessiva concitazione della macchina da presa, in alcuni casi funzionale al racconto di smarrimento ed estasi dei partecipanti ai giochi, ma del tutto inutile nelle sequenze di selezione e preparazione agli stessi. Da apprezzare indubbiamente il tentativo, in parte riuscito, di discostare il proprio film dalle lusinghe dei teen drama di twilightiana memoria, ma l’eccesiva censura nelle scene cruente (avallata da una regia che sceglie i piani iper ravvicinati e confusi, a campi lunghi più espliciti), da l’impressione di voler edulcorare il racconto a favore di un pubblico più giovane, il quale ci ha abituato a ritenerlo l’ago della bilancia nel decretare il successo di un film. A catalizzare l’attenzione dello spettatore, più che le gesta dei personaggi, l’incredibile bravura della protagonista Jennifer Lawrence, accompagnata fra gli altri dalle impagabili interpretazioni di uno sfavillante Stanley Tucci e dell’emaciato Woody Harrelson.
Serena Guidoni