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Chronicle – Recensione

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, diceva lo zio Ben al confuso Peter Parker (alias Spider-Man), ed questo verosimilmente il monito che Andrew, Matt e Steve decidono di non sottovalutare quando acquistano la consapevolezza di ciò che sono diventati. Ragazzi comuni, con comuni problemi legati alla scuola, alle nuove amicizie, alle ragazze; visceralmente separati da personalità differenti e non pienamente caratterialmente formati per via della giovane età, i tre subiscono un cambiamento che va molto al di là dei soliti peli nel mento. Durante una festa i tre studenti si avventurano nel bosco e si imbattono in un profondo buco nel terreno dove si cela una forza sconosciuta. I ragazzi ne entrano in contatto e dal quel momento in poi la loro vita non sarà più la stessa; improvvisamente, infatti, sviluppano incredibili capacità telecinetiche: ovvero il dono di poter spostare gli oggetti con la mente. Dai primi fallimentari tentativi di sollevare anche piccoli oggetti, i tre giovani saranno in grado di sviluppare potenzialità inimmaginabili e, se non tenute sotto controllo, persino pericolose. Ed è a questo punto che diventa doverosa una domanda. I turbamenti adolescenziali, così ricchi di altalenanti stati d’animo, dove odio e rancore per un mondo che non ti comprende (specialmente quello dei genitori) prendono continuamente il sopravvento, se accomunati a straordinari poteri sopranaturali, rischiano di diventare una bomba ad orologeria? La risposta ci riserviamo di lasciarla in sospeso e la deleghiamo alla visione del film. Alla base della pellicola diretta da Josh Trank (classe 1984), scritta insieme a Max Landis (figlio di John Landis), c’è una profonda riverenza per il genere fantascientifico, ma anche una necessità di allontanarlo dal mondo patinato e “festaiolo” dei classici supereroi. Ognuno dei tre protagonisti, anche se in maniera diversa, vive con stupore e turbamento la presa di coscienza della propria diversità. Lo stile della narrazione che viaggia sui piani sincopati e frenetici del falso documentario amatoriale, dove la telecamera immortala ogni istante dei ragazzi (con il filtro, in questo caso, del più problematico dei tre), non è indubbiamente nuovo nel cinema: The Blair witch project nel lontano 1999 fece da apri pista al genere mockumentary del quale è figlio il più recente Cloverfield. Frutto di quella produzione indipendente che tanto soddisfa i palati dei cinefili più incalliti, il film, nonostante la ristrettezza del budget di appena 12 milioni di dollari, ha sbancato il box office Usa nel primo fine settimana e ha incassato oltre 123 milioni di dollari nel mondo. Un gioiellino imperdibile!

Serena Guidoni
 

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