I Ragazzi della 56a Strada – Recensione
Non una delle miglior pellicole di Francis Ford Coppola, ma sicuramente un piccolo cult nel suo genere. Con “I ragazzi della 56^ strada”, Coppola mette in luce quella “gioventù bruciata” degli anni ’60 mostrando, non tanto il lato violento quanto quello sentimentale di un gruppo di giovani.
Siamo a Tulsa dove due bandi ribelli lottano tra loro. Ci sono i Greasers a cui appartengono Dallas, il leader, (interpretato da un giovane Matt Dillon), Jonny, il sensibile del gruppo, e Ponyboy, timido e impacciato, due ragazzi poco più che adolescenti; e i Socials, ricchi e strafottenti. Un giorno Johnny uccide uno dei Socials per difendere l’amico Ponyboy. I due disperati chiedono aiuto a Dallas, il quale, per evitare che la polizia si mette sulle loro tracce, li fa rifugiare in una chiesa abbandonata. La tragedia arriva quando, mentre sono fuori città per costituirsi, la chiesa prende fuoco. I tre tornano per salvare dei bambini in gita scolastica dal pericolo delle fiamme, ma restano ustionati, e Johnny è il più grave.
Film toccante che fa riflettere su tanti temi, in primis la vita e la morte, che tormentano i due protagonisti, Johnny e Ponyboy, due adolescenti così pieni di sogni, ma che provengono da situazioni disagiate. Possiamo trovare attori giovanissimi, oltre il citato Matt Dillon (la vera sorpresa del film), notiamo Emilio Estevez (a suo agio tra i drammi adolescenziali come l’indimenticabile Breakfast Club, l’horror Nightmares, e Young Guns), il compianto Patrick Swayze nel ruolo del fratello maggiore di Johnny, e Tom Cruise (all’epoca ancora sconosciuto).
Tra dialoghi toccanti e ottima sceneggiatura, Coppola si destreggia con inquadrature non a caso, che vanno a toccare nel particolare. Stupenda la scena di Ponyboy ricoverato a pancia in giù nel letto di ospedale che ricorda insieme a Johnny le avventure passate insieme, il romanzo di “Via Col Vento” che Dallas aveva dato a loro per passare il tempo nella chiesa abbandonata, e la frase commovente di Ponyboy che dice di non voler morire giovane perché ha solo 16 anni e vuole fare tante altre cose.
La morale del film volta sicuramente a voler evidenziare la “figura dell’outsider”, che spesso a causa dei pregiudizi non viene preso in considerazione, mostrandoci come la rivalsa di determinati personaggi passa per il loro diventare dei piccoli eroi, con saldi principi, capaci di condividere grandi amicizie.
Verdiana Paolucci