Silent Souls – Recensione
Lande desolate, paesaggi incontaminati, terre al confine dei luoghi più turisticamente conosciuti; poesia della vita, il dolore del distacco, la sofferenza della perdita; identità antiche come antichi sono i rituali. Silent Souls è uno di quei film che ci fanno riconciliare con il cinema perché capaci di raccontare una storia molto complessa traducendola in un linguaggio semplice ed immediato, non perdendo mai la forza e l’intuito di una regia stilisticamente impeccabile. Diretto da Aleksei Fedorchenko, autore capace di tirare fuori dal cilindro gioielli di rara bellezza, il film è stato presentato alla 67ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove si è aggiudicato il Premio Osella per il migliore contributo tecnico (andato a Mikhail Krichman). Ovsyanki, titolo in lingua originale, corrisponde alla parola russa usata per indicare gli zigoli, dei piccoli uccelli giallo verdi della famiglia dei passeri, molti diffusi in Russia, e che uno dei due protagonisti accudisce con molta premura e dedizione. Alla morte dell’adorata moglie Tanya, Miron chiede al suo migliore amico, Aist, di aiutarlo a dirle addio secondo i rituali della cultura Merja, un’antica tribù ugro-finnica del lago Nero, una regione della Russia centro-occidentale. I discendenti di questo antico popolo vivono in maniera integrata coi russi sin dal XVII secolo, pur restando legati ad antiche concezioni sulla vita, e soprattutto sulla morte, e tramandandole di generazione in generazione. I due uomini intraprendono, così, un viaggio di migliaia di chilometri per portare il corpo di Tanya sulle rive del lago sacro, luogo nel quale secondo la tradizione la sua anima potrà ricongiungersi con l’acqua, l’elemento dal quale si nasce e verso il quale bisogna tornare. In questo viaggio il silenzio delle anime dei due uomini, ciascuno immerso nelle proprie considerazioni, bilanci e verità da tenere nascoste, è interrotto dai racconti della vita coniugale fra Miron e Tanya (come prescritto dalle usanze Merja anche degli aspetti più intimi) e dal cinguettio degli zigoli, che con il loro canto così gioioso e vitale restituiscono un barlume di speranza a coloro che restano sulla terra a fare i conti con il dolore della perdita. Ogni popolo ha le sue usanze per congedarsi dai propri morti, e in questo caso Fedorchenko ce ne mostra uno pressoché sconosciuto, ma infinitamente affascinate, costruendo il film sui gesti arbitrari ma amorevoli dei due uomini nei confronti di Tanya che, avvolta nuda nel suo sudario, si prepara a congedarsi dalla vita. Se malinconici sono i paesaggi, non lo è altrettanto il rituale dell’addio, nel quale il corpo viene restituito alla natura in questo scambio doveroso. Silent Souls è anche e soprattutto una storia che parla dell’amore, nel senso più alto del termine, ovvero, quello fra una coppia, che sia di amanti o di amici, fra l’uomo e la natura, fra l’uomo e se stesso e le proprie origini, elevando questo sentimento alle vette più alte, ricordando (come è scritto sulla locandina del film) che: “Soltanto l’amore non ha fine”.
Serena Guidoni