Magic Mike – Recensione
Siamo davvero ciò che facciamo? Oppure è vero il contrario e cioè che ciò che si fa non rispecchia necessariamente quello che si è? E’ il tema chiave del film Magic Mike, contenuto nella sua battuta più forte, “Io non sono il mio lavoro, non è quello che sono” pronunciata dal protagonista, aspirante imprenditore di giorno, stripper per signore di notte. Ma chi è davvero Magic Mike?
Mike (Channing Tatum) è un giovane che si mantiene occupandosi della sistemazione di tetti, inseguendo il sogno di creare mobili originali che disegna nella sua casa di Tampa in Florida. Di notte, però, Mike ha un altro lavoro che gli frutta ottimi guadagni: è la star dello spettacolo di strip maschile al club Xquisite. Mike si esibisce in accattivanti numeri di ballo, le donne lo adorano e spendono soldi per lui facendo la fortuna di Dallas (Matthew McConaughey), proprietario del locale e socio in affari di Mike. Un giorno, al cantiere dove lavora, Mike incontra per caso il diciannovenne Adam soprannominato The Kid (Alex Pettyfer) e lo prende sotto la sua ala protettrice lanciandolo nel mondo dello strip maschile. Kid impara a ballare, spogliarsi, rimorchiare le donne e guadagnare soldi facili. Il ragazzo diventa in breve tempo la nuova attrazione del club mentre Mike è sempre più affascinato dalla sorella di The Kid, Brooke (Cody Horn), una ragazza seria, lontana dal mondo che il giovane è abituato a frequentare.
Per dovere di cronaca va detto che l’idea del film è venuta al suo protagonista, Channing Tatum che, diciottenne, ha davvero lavorato come spogliarellista per circa otto mesi. A dare man forte all’idea dell’attore di raccontare la sua esperienza è stato nientemeno che Steven Soderbergh che si è fatto stuzzicare dall’idea di buttare un occhio su un mondo particolare nel quale, ha sottolineato il regista, la maggior parte delle persone non mette mai piede. Il risultato certamente rispecchia le intenzioni di Tatum che voleva restituire le atmosfere e le energie di un periodo particolare della sua giovinezza, che porta con sé la sensazione di trovarsi in un momento in cui si è pronti a sperimentare, spinti dalla molla di guadagni e divertimenti facili. Ma è doveroso sottolineare che il film non è basato su fatti realmente accaduti, tutto ciò che succede è frutto dell’inventiva degli sceneggiatori.
Tornato felicemente a una storia dall’impianto più tradizionale dopo i suoi ultimi film e soprattutto dopo il passo falso di Contagion, Soderbergh non fa ritorno però al “videotape” del suo fulminante esordio, ma distende la narrazione nel tempo di un trimestre estivo per raccontare le magie notturne di sei stripper “da urlo” alternate alla quotidianità della vita a Tampa di un giovane di belle speranze. La visione offerta del mondo degli spogliarellisti ha il pregio di non essere banale, né moraleggiante, ma appare sincera e a tratti venata da una sottile ironia, confessata dallo stesso regista. Certo, il mondo degli stripper è fatto di soldi facili, sesso e droghe e rischia di far precipitare in un gorgo fatto di sballo fine a sé stesso, ma Soderbergh riesce a tenere la giusta distanza da personaggi e storie. Una doppia pulsione, di vita e di morte, percorre il film, perennemente sospeso tra giorno e notte, mondo “borderline” e mondo reale. Sarà proprio per sfuggire al senso di morte (di sé stesso e dei propri sogni) che Mike opterà per una scelta radicale, di cambiamento, di positività, di speranza in un futuro diverso, forse migliore.
Magic Mike è sì una storia di american dream in salsa muscolosa, ma anche una particolare storia di formazione, in cui il maestro (e non l’allievo) decide la sua redenzione.
Fotografato in modo magistrale, come il regista ci ha abituato con le sue frequenti scelte di dare al colore valenza narrativa (un titolo su tutti Traffic), il film alterna colori più freddi e pieni di luci artificiali per gli interni del club Xquisite con gli esterni del paesaggio della Florida fotografato con efficaci tinte giallastre. Quanto ai protagonisti, al di là delle evidenti doti fisiche (per un film del genere talento assolutamente necessario), merito particolare va alla buona prova di Channing Tatum del quale stupiscono le grandi abilità nel ballo hip-hop “magicamente” interpretato con movenze sexy, ben affiancato dal promettente giovane inglese Alex Pettyfer e dal “veterano” Matthew McConaughey, più istrionico, narcisista e mattatore che mai!
Elena Bartoni