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Il canone del male (Lesson of evil) – Recensione

Un professore che nasconde il suo lato oscuro, una maschera quella che indossa, che si è fusa nel suo incarnato, radicata nella sua anima, ormai costretto a conviverci ed accettarne le conseguenze. Hasumi è all’apparenza un insegnante modello, premuroso con gli alunni, attento alle problematiche di ognuno, un buon amico, un confidente, leale, sincero, sagace e brillante. Il suo volere, il suo intento non ci vengono rivelati almeno fino alla metà del film, in cui intorno a questo ombroso personaggio si susseguono le vicende degli studenti, alle prese con l’adolescenza e l’alienazione della scuola, con le nuove escamotage per imbrogliare agli esami.
Quando parte il film di Miike, riserva sorprese e scene cult, la parte finale riscatta la sopita e troppo lunga confusa prima ora di pellicola. Al suo esordio al Festival di Roma, il regista giapponese approda direttamente in concorso, ispirato ad un romanzo del compatriota Yusuke Kishi, potrebbe ricordare vagamente l’insegnate del libro di Harumi Murakami in Dance Dance Dance, ovvero Godanta, un brillante attore chiamato spesso ad impersonare il ruolo del professore, nascondendo dentro di se mille e più personalità.

Sonia Serafini

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