Spose Celestiali dei Mari di Pianura – Recensione
Il regista di Silent Soul Aleksei Fedorchenko, in concorso al festival del cinema di Roma, presenta un’opera visionaria e fiabesca, sperimentale, che in un certo qual modo vuole essere un inno alla donna.
Racconta, attraverso episodi, ognuno scandito da un personaggio femminile, la vita, i riti e le tradizioni di un popolo di cui senza la lente d’ingrandimento del cinema, non se ne avrebbe menzione.
Convivono molteplici esistenze all’interno della sua pellicola, ventidue storie, nelle quali troviamo: la moglie devota, quella gelosa, la ragazzina desiderosa di crescere, la strana divinità del bosco, totalmente inquietante, e tantissime altre protagoniste, in un insieme grottesco e documentarista.
Una ricerca etnografica che scava nella profondita delle regioni remote del suo paese, l’etnia Mari che si è rifugiata oltre gli Urali, in un racconto sconnesso e a volte onirico, rurale e ricco di tradizioni, come affermato dal regista che ha motivato la sua scelta spiegando che “filma le tradizioni che scompaiono”.
Il problema, approcciandosi ad un film del genere, è non riuscire a coglierne il senso, le tradizioni, che sono il motivo alla base di tutto, andrebbero motivate, oltre alla bellissima fotografia, una spiegazione aggiuntiva sarebbe stata gradita.
Sonia Serafini