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La scoperta dell’alba – Recensione

Prospettive Italia – In Concorso.

Una storia che insegue il filo della memoria, un viaggio surreale indietro nel tempo, un’indagine sul potere del ricordo e sull’ineluttabilità dei legami col passato.
Tratto dall’omonimo romanzo di Walter Veltroni (che in un certo modo torna ad un Festival che ha fortissimamente voluto e inaugurato), La scoperta dell’alba è l’opera seconda della regista Susanna Nicchiarelli (che nel 2009 ha firmato Cosmonauta).
Roma 1981, il professore universitario Mario Tessandori muore per mano di un gruppo di brigatisti rossi tra le braccia del collega Lucio Astengo. Poco tempo dopo, Astengo scompare misteriosamente. Trent’anni dopo, le figlie del docente scomparso, Caterina, assistente di un vecchio collega del padre alla cattedra di Diritto del Lavoro, e Barbara, manager di un gruppo rock alternativo, dopo la morte della madre decidono di mettere in vendita la casa al mare di famiglia. Durante un sopralluogo in quel luogo pieno di ricordi dolorosi, Caterina trova il vecchio telefono grigio e, scoperto il segnale di linea attiva, quasi per gioco decide di comporre il numero della sua vecchia casa di Roma. Il telefono squilla e con sua grande sorpresa le risponde una bambina di nome Caterina: è lei stessa nel 1981, pochi giorni prima della sparizione del padre. Sconvolta da quella telefonata, Caterina cerca di spiegarsi il perché di quel contatto con il suo passato sfruttando la situazione per cercare di far luce sulla misteriosa scomparsa del genitore.
Indagare il passato per far luce sul presente. Uno spunto affascinante condito da tanti elementi interessanti: il rapporto genitori-figli, il tentativo di rileggere con occhi diversi un’epoca cruciale del nostro Paese pesantemente condizionata dalla violenza del terrorismo, l’indagine su tante scomode verità che caratterizzano quel preciso periodo storico. In più un elemento fantasy: quel filo diretto col passato che crea un vero corto circuito spazio-temporale. Ed è questo il valore aggiunto del racconto.
Diversi sono i cambiamenti rispetto al libro di Walter Veltroni. Lì il protagonista era un uomo e un figlio unico, la maggior parte dell’azione si svolgeva al telefono (una struttura narrativa poco cinematografica) e il tono della vicenda era decisamente malinconico. La regista ha dichiarato di aver aggiunto un po’ di leggerezza (con l’aggiunta di qualche indovinata scelta musicale dal gusto vintage), un ingrediente a suo parere fondamentale in una vicenda fondata su arditi salti temporali.
Il racconto intrigante e carico di simboli non è però supportato da un’adeguata traduzione sullo schermo. Si ha l’idea che il romanzo poteva essere interpretato in modo più efficace facendo leva sui tanti spunti interessanti, primo fra tutti quello della necessità di rileggere, analizzare, ricostruire un passato in cui la generazione dei nostri padri ha vissuto un’epoca cruciale, fatta di tanti lati oscuri, lasciandoci in eredità un mondo difficile sul quale ricostruire un nuovo presente.
Buone comunque le interpretazioni degli attori con una nota di merito particolare alla protagonista Margherita Buy. La regista Susanna Nicchiarelli si è ritagliata il ruolo della sorella.

Elena Bartoni   
 

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