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The Motel Life – Recensione

Selezione Ufficiale – In Concorso

Due fratelli e il loro legame fortissimo, la provincia americana del Nevada, anonimi e stranianti motel.
Ecco The Motel Life, ultimo film in concorso al Festival del Film di Roma diretto da due fratelli (perfetta coincidenza col tema cardine dell’opera) Alan e Gabriel Polsky e sceneggiato da Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue che hanno adattato per lo schermo il romanzo omonimo di Willy Vlautin.
Frank (Emile Hirsch) e Jerry Lee (Stephen Dorff) sono due fratelli rimasti prematuramente orfani che vivono nei sobborghi di Reno nel Nevada. La madre prima di morire aveva chiesto loro di restare uniti, sempre e comunque. Jerry Lee ha perso una gamba, amputata a causa di un incidente subito da piccolo, mentre Frank, che ha perso un grande amore, si è sempre occupato del fratello. Frank sfrutta il suo dono innato nell’inventare storie che hanno il potere di far distrarre e sognare il fratello. Il legame tra i due diventa ancora più stretto quando Jerry Lee si caccia nei guai dopo aver ucciso un bambino in un incidente stradale. Dopo aver rimediato denaro sufficiente, Frank compra un’auto e intraprende col fratello un lungo viaggio spostandosi da motel a motel.
Giocando in modo intelligente con il senso profondo del titolo, i registi compiono la precisa scelta estetica di ambientare il loro film nel “non-luogo” per eccellenza di tanto cinema e letteratura contemporanea americana, il motel. Due anime in pena si aggirano tra i freddi paesaggi del Nevada nei primi anni ‘90: non hanno casa, non hanno famiglia, hanno solo il loro profondo legame e fredde stanze di motel dove fermarsi per riposare.
Il nucleo forte del film sta in quella fede intoccabile nel potere della speranza (ribadita da una battuta-chiave pronunciata da quell’icona del cinema statunitense anni ‘70 che risponde al nome di Kris Kristofferson), speranza indispensabile laddove l’american dream ha assunto l’aspetto di un incubo. La “vita in motel” testimonia proprio questo, una vera discesa nell’inferno della disperazione di due anime derelitte in cui lo spiraglio di luce per sopravvivere è affidato alla fantasia dei racconti inventati da un fratello per lenire le sofferenze dell’altro.
Il senso profondo delle ferite, del sangue, delle amputazioni (reali e simboliche) acquista un valore assoluto, ottimamente illustrato da una regia sobria che tiene la giusta distanza da ciò che mostra. Jerry Lee ha una gamba amputata, Frank ha il cuore tagliato in due dopo un rapporto d’amore troncato traumaticamente e bruscamente. Tutto è spezzato, reciso, lacerato. E cosa rimane se non la forza di un legame e la capacità di sognare nonostante tutto? Il talento di un fratello per il racconto fantastico e dell’altro per il disegno sono forse l’unica via di sfogo.
Ma non c’è salvezza senza sacrificio e così solo dopo l’espiazione della colpa da parte del più debole dei due, si arriva alla speranza di un riscatto per l’altro.
Superba la prova dei due attori Emile Hirsch e Stephen Dorff, in odore di premiazione, visivamente affascinanti gli inserti animati nelle parti dei racconti fantastici (l’autore è Mike Smith).
Bell’esempio di cinema indipendente a stelle e strisce. Potente e toccante, stilisticamente quasi perfetto nella sua durezza.

Elena Bartoni
 

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