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Pazze di me – Recensione

Fausto Brizzi con Pazze di me, dirige un’altra commedia corale, dopo i successi al botteghino di Ex, Maschi contro Femmine e Femmine contro Maschi. Stavolta ad essere una presenza preponderante ed ingombrante sono le donne, causa degli innumerevoli fallimenti, sia in campo lavorativo che sentimentale, del protagonista Andrea, un Francesco Mandelli che, svestiti i panni e la maschera di Ruggero de Ceglie de I soliti Idioti, si separa momentaneamente dal compagno di gag Fabrizio Biggio (presente nel film con un piccolo cameo), per cimentarsi nella sua prima vera prova da protagonista. Uomini che rimangono in casa fino a quarant’anni, uomini che non riescono a stabilire un rapporto autentico e duraturo con una donna che non sia la propria madre: di chi è la colpa? Vessato ed ostacolato in ogni modo dalle donne della sua famiglia, incapace di avere una propria indipendenza, Andrea rappresenta senza dietrologie il più classico dei “mammoni” italiani. Sarà forse l’incipit del film a svelare l’arcano fondamentale? A soli cinque anni Andrea vede andare via di casa suo padre (un Flavio Insinna lapidario nella fuga) per non farvi più ritorno; indi per cui l’abbandono dell’unica figura maschile è la causa scatenante della sua innata sottomissione. Visto e considerato che fortunatamente siamo andati avanti rispetto alle teorie psicoanalitiche secondo le quali chi cresce senza una delle due figure genitoriali, è destinato ad avere dei disagi, il pretesto con il quale comincia la storia, appare sin da subito un tantino obsoleto. La carrellata di figure femminili rappresentano, indubbiamente, la peggiore tipologia da incubo che si possa immaginare; capitanate da una madre-padrona (Loretta Goggi), artefice insieme al trittico di sorelle disadattate (Marina Rocco, Claudia Zanella e Chiara Francini), del fallimento di tutte le storie d’amore del malcapitato “maschio alfa”. Il pericolo di cadere nella misoginia è tangibile, molte battute e sequenze corrono proprio su quel filo di lana, ma Brizzi, che firma la sceneggiatura insieme al fedele Marco Martani, ricorre all’intervento salvifico di Federica Bosco, autrice di  bestseller al femminile, nonché scrittrice dell’omonimo romanzo. La commedia inizialmente è piacevole, quantomeno nella resa registica dei flash back che ci mostrano l’infanzia del protagonista, ma con lo scorrere del film assistiamo a rievocazioni di sketch da cinepanettone, dai quali pensavamo di esserci finalmente svincolati, come se sia Brizzi che Martani non fossero riusciti a liberarsi del loro passato da sceneggiatori per i film di Neri Parenti.

Serena Guidoni

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