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Warm Bodies – Recensione

L’antefatto. Isaac Marion pubblica su un blog un breve racconto di 7 pagine dal titolo Sono uno zombie pieno d’amore. Il successo sulla rete da parte dei lettori è tale da spingere l’autore ad ampliare la storia, dando origine al nuovo caso editoriale della narrativa per adolescenti Warm Bodies. La vicenda racconta di R, un giovane zombie incapace di ricordare il suo passato umano, che vive la sua solitudine e “diversità” circondato da altri che come lui sono sottoposti alla stessa interminabile agonia in seguito ad una non ben identificata epidemia. Le cose cambiano quando, durante un’incursione degli umani “cacciatori di zombie”, incontra Julie. L’amore nei confronti della ragazza lo sconvolgerà talmente nel profondo, da capire che il sentimento che comincia a provare per lei è la chiave per la guarigione, ovvero, ciò che può riscaldare nuovamente il suo freddo cuore e aiutarlo a combattere contro ogni difficoltà. Poteva la Summit Entertainment, casa di produzione e distribuzione indipendente che si è assicurata fama e longevità grazie alla saga di Twilight, non voler mettere le mani sul prezioso manoscritto? Fiuto e lungimiranza di certo non sono mancati a chi ha individuato in Nicholas Hoult il nuovo erede di Robert Pattinson, dove per entrambi il comune denominatore è l’essere profondamente radicati nel loro essere britannici, emaciati e pallidi. Nonostante le diverse apparizioni sul grande schermo in pellicole di successo come Scontro tra titani e X-Men – L’inizio, nonché nell’esordio alla regia di Tom Ford con A Single Man, nell’immaginario collettivo Hoult rimane il tenero bambino che tenta di redimere un incorreggibile Hugh Grant in About a Boy. In un momento molto prolifico, sia nel cinema che in tv, per i non-morti (Romero docet!), il contributo che da al genere Warm Bodies è tutt’altro che scontato. Il regista Jonathan Levine (Fà la cosa sbagliata, 50 e 50), prova ad adattare tematiche a lui care come le seconde chance e il cambiamento radicale della propria vita che passa attraverso la conoscenza degli altri, ad uno scenario post-apocalittico nel quale è in vigore una sorta di segregazione razziale, dove gli zombie possiedono una loro umanità e non sono dei semplici automi in grado di pensare solo a divorare carne umane. Eliminato ogni equivoco che il film possa essere un horror, le sequenze iniziali nelle quali ha la meglio una tendenza grottesca nel presentarci la storia, sono funzionali a capire che l’intento del regista (forse?) è quello di non prendersi troppo sul serio. Ecco che, però, col dipanarsi della storia assistiamo a quel cambiamento, in corso d’opera, al quale non volevamo partecipare: il contenuto sentimentale ha la meglio su un impianto narrativo che sembrava essere più originale. Se poi il malcelato riferimento alla tragedia shakespeariana di Romeo e Giulietta, sia nelle iniziali dei nomi dei protagonisti che in alcune “topiche” sequenze, non bastasse ad incasellare il film, ci pensa Teresa Palmer, eroina impavida prima ed attivista dell’amore poi. Fra gli interpreti un inaspettato John Malkovich, appiattito in un ruolo che evidentemente non gli si addice (lo sconcerto è lo stesso che si prova pensando a Jeremy Irons in Beautiful Creatures, altro teen drama di prossima uscita).

Serena Guidoni

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