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Nella Casa – Recensione

Il cinema di François Ozon è un cinema che se all’apparenza può sembrare semplice e ironico, all’interno nasconde sempre (o quasi) una costruzione meticolosa e attenta al minimo dettaglio.
“Nella casa” (Dans la maison) dimentica l’apparente frivolezza di pellicole come “Potiche” o “8 donne e un mistero”, catalizzando l’intera attenzione su una machiavellica sceneggiatura.
Quello che ne esce è un film che interessa e intriga, ma che, al tempo stesso, si pone in maniera troppo fredda e distaccata, non permettendo allo spettatore di sentirsi emotivamente davvero coinvolto con i personaggi, ritrovandosi così relegato nel ruolo di semplice voyeur o di co-autore senza voce in capitolo della storia che Claude sta narrando.
Ozon decide di raccontare il rapporto tra alunno e insegnante con un approccio sicuramente diverso dal solito. Il professore Germain (Frabrice  Luchini) assegna un tema alla sua classe in cui, ogni ragazzo, deve raccontare il proprio week-end. Gli elaborati sono semplici, senza passione, tranne quello di Claude, un sorprendente Ernst Umhauer, che descrive dettagliatamente e in uno stile promettente la sua prima volta a casa del compagno di classe Rapha, chiudendo il proprio scritto con la parola ‘continua’. Spronato da Germain, Claude continuerà questi temi a puntate tutti incentrati sulla vita della famiglia medio borghese di Rapha. Quando l’ossessione, però inizierà a prendere piede, le cose inizieranno a sfuggire di mano.

Realtà e finzione che si fondono in un confine più labile di quello che c’è tra amore e odio, è una tematica cara al cinema di ogni epoca. In questa pellicola, invece di utilizzare il pretesto del sogno per raccontare questa effimera demarcazione, si sfrutta il racconto, la letteratura, il semplice tema scolastico che si trasforma in uno script di una sorta di sceneggiato ad episodi.
Ciò che Claude mette nero su bianco è frutto della sua immaginazione o è realmente accaduto? Difficile dirlo ed è proprio qui il punto di forza, ma allo stesso tempo di debolezza della pellicola. Perché se da una parte invoglia a proseguire per cercare di capire come risolvere questo rompicapo, dall’altra non se ne viene a capo, ci si fa delle idee, abbiamo delle certezze su cosa sia vero o meno, ma alcuni nodi centrali risultano irrisolti.
La voice over ci permette di capire che le immagini che scorrono sullo schermo sono la trasposizione visiva di quello che il ragazzo ha scritto, ma non sempre capiamo se è fantasia o semplice descrizione dei fatti.

Nonostante l’evidente citazione del “Match Point” di Woody Allen, qui non c’è niente di lasciato al caso, tutto è costruito con rigore e attenzione, lasciando che finzione e realtà, classico (la letteratura) e moderno (la galleria d’arte del personaggio di Kristin Scott Thomas) si contaminino a vicenda, creando una struttura solida, riuscita con un ritmo serrato e un climax crescente, anche se fredda e alessitimica.

E se alla fine tutto ciò che vediamo fosse solamente  finzione,  frutto della mente di Germain, uomo abbandonato dalla moglie, scrittore e professore fallito, dove Claude altro non è che la proiezione giovane e piena di speranze e possibilità dell’uomo stesso?  A voi l’ardua sentenza.

Sara Prian

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