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Kiki – Consegne a domicilio – Recensione

Nel lontano 1989 il maestro dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki regalava al grande pubblico Kiki – Consegne a domicilio. Grazie a  Lucky Red il film dello Studio Ghibli (fondato nel 1985 e che vanta diciotto lungometraggi animati, oltre che numerosi cortometraggi e videoclip) trova nuova vita sul grande schermo. Sicuramente non uno dei film più belli, se si pensa a dei capolavori come a Il castello errante di Howl o a Ponyo sulla scogliera, ma una pellicola che vale la pena riscoprire a così tanti anni di distanza, apprezzabile ulteriormente grazie alla magia della sala cinematografica.

Il film è ispirato ad un racconto per ragazzi scritto da Eiko Kadono e racconta di Kiki, una streghetta di tredici anni che parte alla ricerca di una città bagnata dal mare dove poter iniziare il suo anno da apprendista. Giunta nella città di Koriko, in compagnia di Jiji, il suo gatto nero parlante, Kiki al fine di guadagnarsi da vivere utilizza la sua scopa volante per fare consegne a domicilio. Numerose sono le difficoltà da affrontare ma grazie ai suoi poteri magici e il suo talento incommensurabile, nonché alla presenza di persone che le daranno una mano (uno fra tutti un ragazzo di nome Tonbo), Kiki sarà in grado di rendersi finalmente indipendente, anche se la vita è sempre ricca di imprevisti.

I temi alla base del film sono, come spesso accade nella cinematografia del maestro, legati al percorso di crescita e di autodeterminazione, di come ognuno di noi sia con le proprie forze, che con degli aiuti dall’esterno, possa trarre il meglio dalla propria esistenza. Un pubblico di appassionati del genere sarà portato (qualora non l’avesse ancora visto) a considerare Kiki – Consegne a domicilio un film un po’ sottotono rispetto agli altri titoli della filmografia di Hayao Miyazaki, ma il valore aggiunto che può dare la visione di questo film, a distanza di tempo, può essere quello di scoprirne degli aspetti, magari, trascurati in passato. Per il pubblico più giovane, invece, non particolarmente incline ad una cinematografia più “semplice” e meno “schizofrenica” dal punto di vista estetico, l’esplosione di colori, nonché l’avventura che vive la protagonista, insieme ad un gusto tipicamente giapponese nel rappresentare gli elementi del racconto, possono essere un incentivo a conoscere un’altra faccia dell’intrattenimento del cinema d’animazione.

La poesia del cinema di Miyazaki non ha eguali e quest’opera, sebbene con delle riserve, ne possiede tutte le caratteristiche stilistiche e le immense suggestioni.
 

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