Il Cecchino – Recensione
“Il Cecchino è il mio Romanzo Criminale francese”. Così Michele Placido definisce il suo nuovo polar, un film poliziesco scritto a quattro mani (Cedric Melon e Denis Brusseaux) e girato interamente a Parigi e dintorni.
Il fatto che un regista italiano sia stato chiamato in Francia a dirigere un film di genere con importanti attori francesi del calibro di Daniel Auteuil e Mathieu Kassovitz è senza dubbio motivo d’orgoglio. Tuttavia l’entusiasmo per il progetto, l’esperienza del regista e la bravura dei suoi interpreti non sempre (come in questo caso) assicurano la buona riuscita del prodotto.
La pellicola vede l’inseguirsi e il fronteggiarsi di Mattei (Daniel Auteuil), capitano della polizia, e una banda di rapinatori tra i quali un cecchino (Mathieu Kassovitz), un tiratore scelto reduce dall’Afghanistan, che fin dalla prima scena, dall’alto di un palazzo, aiuta i suoi complici a fuggire dai poliziotti in seguito ad una rapina. Alla banda appartiene anche Nico (Luca Argentero) che, ferito, è costretto a farsi curare da Franck (Olivier Gourmet), un medico privo di licenza. Quando una “soffiata” conduce la polizia alla tana del cecchino, che viene arrestato, all’interno della banda inizia la caccia al traditore.
Tutti i personaggi incarnano le diverse sfumature umane del bene e del male e agiscono secondo avidità, ma anche secondo una loro etica di amore e lealtà verso i compagni e la donna amata. Le azioni dei due protagonisti (Mattei e il cecchino) sono dettate dai loro fantasmi e dolori interiori, ossia la perdita di una persona cara, da cui scaturisce il desiderio di giustizia e vendetta. Pertanto lo spettatore non riesce ad attribuire in modo netto l’etichetta di giusto e sbagliato a nessun personaggio se non all’unico vero sadico della vicenda, il traditore della banda, che merita la giusta punizione.
Al di là delle dignitose interpretazioni degli attori francesi, Luca Argentero, che già si è cimentato in ruoli drammatici, non dà la miglior prova di sé. Tuttavia la sua performance è sicuramente migliore di quella di Violante Placido (figlia del regista), che nel ruolo di Anna, moglie di Nico, sfodera espressioni di dolore e preoccupazione poco convincenti.
Il paragone con Romanzo Criminale è esagerato. A differenza del film italiano, Il Cecchino è, infatti, privo di sostanza: da una parte manca della ricostruzione di determinate vicende storiche di un Paese e di intrighi che lasciano il segno, dall’altra non arriva a sviluppare e ad approfondire aspetti che, al contrario, avrebbero potuto dare corposità alla storia (per esempio il riferimento alla guerra in Afghanistan). Ciò che resta sono scene di azione, sparatorie e spionaggio ben girate, purtroppo abbinate ad una sceneggiatura povera e debole.
Elisa Cuozzo