500 Giorni insieme – Recensione
Quando si parla di amore non si è mai lucidi. In particolare c’è sempre un grande differenza tra ciò che si desidera che fosse e ciò che realmente è, e di solito sono le donne a vivere il rapporto amoroso in modo più romantico e melenso. La commedia 500 giorni insieme (2009), opera prima del regista Marc Webb, scardina i ruoli stereotipati della principessa in attesa del principe azzurro con l’anatomia di una storia d’amore filtrata dagli occhi di Tom, (Joseph Gordon-Levitt), inguaribile romantico e sognatore, che perde la testa per Sole (Zooey Deschanel), donna fatale che vive l’amore in modo cinico senza credere nel destino e nell’anima gemella. I 500 giorni della loro storia vengono ricostruiti sul grande schermo in un andirivieni di continui flashback, che mantengono alto e costante l’ interesse dello spettatore fino alla fine del film. Ogni giovane, infatti, sia uomo, che donna, si immedesima, a tratti, in Tom e Sole con tutte le gioie, le sofferenze e le contraddittorietà che sentimenti forti, come l’amore, possono far vivere. La commedia risulta, pertanto, piacevole e meno scontata di quanto ci si aspetti.
Si potrebbe dire che pellicole del genere, che passano in rassegna una varia casistica, anche dal punto di vista psicologico, di rapporti di amore/odio, incontro/scontro e gioco-forza tra uomo e donna, sono viste e riviste. Tuttavia bisogna dare merito a Marc Webb nell’essere riuscito a rendere il suo esordio cinematografico brillante, originale e divertente. Oltre a porre al centro della storia un inaspettato punto di vista maschile, grazie a Joseph Gordon – Levitt, che veste bene i panni del trentenne romantico e un po’ sfortunato, il regista utilizza un tipo di narrazione non lineare che trasporta lo spettatore tra passato e presente in un puzzle di eventi che va ricostruito per riuscire a soddisfare ogni curiosità. Il tutto, accompagnato da una rassegna di balli e musiche (eredità della precedente esperienza del regista nella realizzazione di videoclip), è reso ancora più dinamico e giovanile laddove la musica, pur non essendo dominante, ha comunque un ruolo importante nell’ esprimere lo stato d’animo del protagonista in modo più spigliato e movimentato.
L’unica nota stonata di un prodotto ben riuscito (come in molti altri casi) è l’intervento della, non indispensabile ed ostinata, traduzione dall’inglese all’italiano del titolo che in lingua originale è 500 days of Summer (500 giorni di Summer). Nel film, infatti, il nome della protagonista è proprio Summer (erroneamente tradotto in italiano in Sole) pensato da Webb per creare un simpatico gioco di parole tra il personaggio e il titolo, aspetto che il pubblico italiano, purtroppo, non può cogliere.
Elisa Cuozzo