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Holy Motors – Recensione

Presentato in concorso al 65esimo Festival di Cannes, dove ha vinto le Prix de la jeunesse, Holy Motors è, al di là di ogni possibile definizione, un vero e proprio capolavoro. Utilizzare un aggettivo del genere è accettabile e in alcuni casi doveroso, soprattutto se si fa riferimento ad una pellicola del passato. Fellini, Truffaut, Hitchcock, Kubrick sono tra i maestri indiscussi, ma tra gli dei dell’Olimpo si fa spazio in maniera prepotente anche  Leos Carax. I premi ottenuti in ogni festival o manifestazione nelle quali il film ha partecipato (Miglior film straniero al Los Angeles Film Critics Association Awards e il Premio al Miglior Attore al Toronto Film Critics Association Awards, per citarne solo alcuni), non sono necessariamente aspetti identificativi di una pellicola, ma in questo caso sono il giusto coronamento di un progetto ambizioso, complesso e non immediatamente fruibile, ma ascrivibile a quella schiera elitaria che si chiama: autentica poesia d’amore per il cinema.
Iperbolico, folle, visionario ma allo stesso tempo brutalmente reale e collocabile nel “vero”, il film del regista francese è un omaggio appassionato e passionale alla settima arte. Un calderone pieno zeppo di suggestioni e rimandi ad un cinema del passato e ugualmente proiettato nel futuro, dove gli equilibri sono mantenuti tali solo perché gestiti in maniera consapevole e con cognizione di causa. Coordinare il peso di una trama così complessa non è da tutti, c’è bisogno di una sceneggiatura solida che trova un ordine all’interno del suo stesso caos.
Un film è un viaggio nella vita di uno o più personaggi ma in questo caso è lo stesso protagonista a vivere più identità, e noi lo seguiamo diligentemente attraverso le interminabili ventiquattro ore nelle quali cambia  continuamente aspetto e sembianze: da padre di famiglia a uomo d’affari, a mostro; da giovane, a vecchio a donna e addirittura ad assassino. La precisione con la quale scandisce i vari appuntamenti con le vite degli altri sono agevolati dalla presenza di un’assistente che lo accompagna in limousine per le strade di Parigi.
Il ritmo del film ha una sua dinamicità non direttamente collocabile nello spazio e nel tempo; il racconto non è un mero scorrere di situazioni congestionate dalla durata e Carax accorcia e allunga le distanze fra le varie storie in assoluta autonomia, senza bisogno di inutili postille. In un parola: capolavoro.

Serena Guidoni

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