Dream Team – Recensione
Calcio e cinema. Ancora una volta un binomio di successo. Ancora una partita decisiva, sul campo e nella vita. Come in tante celebri pellicole sul calcio (o sullo sport in genere) anche qui si gioca per riscattarsi da qualcosa, animati dallo stesso spirito di vittoria, con l’aggiunta di un tocco di comicità.
La storia è quella di Patrick Orberà (Jose Garcia) vecchia gloria del calcio ormai sulla cinquantina. Alcolizzato, senza un lavoro né una casa, ha perso il diritto di vedere sua figlia. Costretto da un giudice a cercare un lavoro stabile, si trova davanti a un’unica scelta: partire per una piccola isola della Bretagna per allenare la squadra di calcio locale, il Molene. Se il team dovesse vincere i prossimi tre incontri, potrebbe raccogliere soldi sufficienti per salvare la fabbrica di sardine dell’isola da cui dipende gran parte degli abitanti. Ma, arrivato sull’isola, Orberà si trova di fronte ad una squadra di pescatori. Decide dunque di chiedere aiuto ai suoi vecchi compagni di squadra affinché collaborino per portare la squadra a giocarsela tra le grandi nei preliminari della Coppa di Francia.
Che squadra disastrata di ex calciatori! Un ex galeotto violento e attaccabrighe, un sex-and-drugs addicted, un semi-idiota “Playstation-dipendente”, un aspirante attorucolo di mezza età, un cardiopatico con il divieto dell’attività agonistica.
Il punto di forza del film sono le caratterizzazioni dei personaggi, tutti indovinati nei loro tic e nei loro vizietti, interpretati da una squadra di tutti attori comici di gran classe (fatta eccezione per il rapper Joeystarr, vero “bad boy” anche nella vita) su cui spiccano uno scatenato fantastico “idiota” Gad Elmaleh e l’ex quasi-amico Omar Sy, oltre che il bravo protagonista Jose Garcia. Un buon ritmo, battutine qua e là e la deliziosa ambientazione su un’isoletta bretone che garantisce il giusto tocco di folklore locale, fanno il resto.
Si gioca facile, in campo e fuori, con il verbo francese “jouer” che vuol dire “giocare” ma anche “recitare” (come l’inglese “to play”): un “doppio gioco” (ci si perdoni il bisticcio) incarnato dall’ex attaccante (col vizio del “cucchiaio”) ora animato da velleità attoriali (non a caso verrà trascinato sull’isola solo con l’inganno di una messinscena di “Cyrano” sulle tavole di uno scalcinato teatrino).
Non c’è che dire, il regista Olivier Dahan (di cui si ricorda il biopic su Edith Piaf La vie en rose che è valso un Oscar a Marion Cotillard e del quale attendiamo il film Grace di Monaco con Nicole Kidman) questa volta aveva solo una gran voglia di divertire e divertirsi. E, tra portieri che non vogliono fare i portieri e attaccanti che vogliono fare gli attori, i sorrisi sono assicurati, anche perché a essere presi di mira in senso parodistico sono proprio quei campioni milionari e viziosi che rappresentano tanta parte del nostro calcio.
Sotto la patina del film leggero, il tema che emerge ancora una volta è quello del calcio (argomento mai come oggi di grande appeal) come simbolo di riscatto sociale (con un pizzico di Ken Loach con quella fabbrica di sardine che rischia di chiudere) e redenzione. In Francia la pellicola ha avuto un clamoroso successo, in Italia forse non farà lo stesso “botto”, penalizzata da un’uscita in piena estate rovente. Ma se volete sorridere, evadere e fare il tifo per un Dream Team a campionato fermo, questo film vi rallegrerà, senza troppi pensieri.
Elena Bartoni