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L’uomo d’acciaio – Man of Steel – Recensione

Un regista d’eccellenza (Zack Snyder) un cast d’eccezione (Russell Crowe, Henry Cavill, Michael Shannon, Amy Adams, Kevin Costner, Diane Lane, Laurence Fishburne), Man of Steel, alias l’Uomo d’Acciaio, aveva tutte le carte in regola per essere il film dell’anno, o quanto meno dell’estate cinematografica 2013, considerando anche lo zampino di Christopher Nolan (il “papà” della trilogia del Cavaliere Oscuro) nel progetto. 

Il film presenta di per se delle grandi innovazioni sulla narrazione del supereroe con la S maiuscola. In primis concentra la narrazione sugli eventi alla base della nascita di Kal El (Henry Cavill) sul pianeta Krypton e sulla successiva distruzione di quest ultimo, mettendo in particolare risalto la figura di Jor El (Russell Crowne) e dell’antagonismo atavico nei confronti di quello che diventerà anche l’acerrimo nemico del figlio, Zod (Michael Shannon). L’idea di partenza è dunque buona e solida, ma la sceneggiatura si perde nel corso della narrazione.

L’idea di eliminare la parte dell’adolescenza di Clark Kent (dovuto forse anche alla trasposizione televisiva Smallville, che racconta da quasi dieci anni quel periodo della vita di Superman) risulta vincente, soprattutto perché ci sono costanti flashback nel passato che ricongiungono Clark al suo padre “terreno”, interpretato da uno smagliante Kevin Costner. Purtroppo però oltre a questi guizzi narrativi la sceneggiatura si sfalda e la storia va avanti in maniera disconnessa fra bombardamenti, distruzioni colossali e catastrofi che richiamano in parte la tragedia dell’11 settembre e in parte la tipologia di scontro tra alieni e supereroi già presente in The Avengers. Il tutto è retto da visual effects di altissimo livello, ben congeniati con il girato, che rendono questa tecnologia uno degli elementi fondamentali del film.

Nonostante l’indiscussa bravura degli attori e l’impegno registico profuso L’uomo d’acciaio – Man of Steel rimane un prodotto visivamente perfetto, ma senz’anima, che lascia un pizzico d’amaro in bocca. Vi ricordate la definizione tanto cara agli insegnati di scuola? “Potrebbe fare di più, ma non si applica?” in questo caso calza a pennello.

Eva Carducci

 

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