Wolverine: l’immortale – Recensione
A distanza di quattro anni dal film dedicato alle origini del mito (X-Men le origini: Wolverine) Logan è pronto a sfoderare nuovamente i suoi artigli d’adamantio e rendere la sua gloria immortale.
Dopo la morte di Jean Grey in “X-Men: Conflitto finale” Wolverine abbandona le scene e si rifugia nei boschi vivendo in solitudine il suo dolore. Non avendo più un motivo per cui combattere si lascia andare e quando Yukio, una mutante giapponese che prevede il futuro, riesce a trovarlo per portarlo dal suo maestro, la ragazza si ritrova davanti un uomo ossessionato dal passato e inquieto, in cerca di una nuova ragione di vita.
Giunto in Giappone per salutare il suo vecchio amico quest’ultimo gli offre un modo per rinunciare alla sua immortalità e vivere serenamente il resto della sua vita. Involontariamente dunque Logan sarà costretto a fare i conti con le debolezze umane e non potrà avvalersi del suo potere mutante.
“Wolverine: l’immortale” è un film che appare profondamente diverso dal filone degli X-Men. In primo luogo la location è differente rispetto gli altri film della saga, essendo ambientato quasi esclusivamente in Giappone. Per certi aspetti questo risulta un pregio, per altri invece un difetto. Lo stile narrativo, i dialoghi e l’intera sceneggiatura vengono influenzati dai ritmi e i tempi di una cultura distante da quella occidentale.
Il film non entra mai nel vivo, non coinvolge e rimane freddo e distaccato. Un vero peccato considerata l’importanza della figura di Wolverine all’interno dell’Universo Marvel. Il problema però non è il protagonista, ma il contesto, e gli attori che lo circondano. La prova? L’unica scena elettrizzante di tutto il film è quella dei titoli di coda, preludio di “X- Men: Giorni di un futuro passato” (previsto per il 2014) , dove Logan si ritrova a parlare con due vecchi, e cari, amici…
Eva Carducci