La notte del giudizio – Recensione
L’incipit è spiazzante: pestaggi e omicidi all’ultimo sangue accompagnati da note di musica classica.
Liberarsi, purgarsi, sfogarsi: sembrerebbe questa la strada del futuro per ri-fondare una nuova società libera da tante piaghe. Legalizzare la violenza per una notte all’anno in cui qualsiasi attività criminale, omicidio compreso, diventa legale. E così lo “Sfogo” di violenza purifica l’America e i suoi cittadini. Da qui il miracolo di una nuova società, in cui il tasso di disoccupazione è sceso ai minimi storici (l’1%, più che un miracolo si direbbe) e il tasso di povertà è sotto il 5%. Questo è il quadro dipinto da La notte del giudizio traduzione sbagliata dell’originale The Purge.
In questi nuovi Stati Uniti il governo come lo conosciamo ora non esiste più ma c’è un nuovo regime, quello dei Nuovi Fondatori d’America (NFA) che ha risolto il cruciale problema della violenza e si è occupato dei diritti civili dei singoli, sanzionando una notte all’anno in cui qualsiasi tipo di crimine è esente da ogni punizione.
Ogni anno, dalle 19:00 del 21 marzo alle 7:00 del 22 marzo le regole sono abolite. Non è possibile chiamare la polizia, gli ospedali sono chiusi, è una notte in cui la cittadinanza si autoregola. In questa notte appestata dalla violenza e martoriata da un’epidemia di criminalità, la famiglia Sandin si rinchiude in casa in attesa dello “Sfogo” dell’anno 2022. Rientrato a casa dal lavoro, James (Ethan Hawke), il capofamiglia venditore di sistemi di sicurezza, attiva il suo infallibile sistema di allarme e per i Sandin si prospetta una serata tranquilla. Ma poco dopo, il figlio minore, Charlie, nota dalle telecamere di sicurezza un uomo in strada in cerca di aiuto. Il ragazzo pensa che non può lasciare quell’uomo morire là fuori: disattiva così il sistema di sicurezza e lo fa entrare in casa. Da qui si scatena l’inferno. L’uomo si rivela essere un senzatetto braccato da un gruppo di strani personaggi mascherati capeggiati da un giovane leader molto distinto che si presenta davanti a casa Sandin. Quando la banda di assassini si rifiuta di andarsene senza portar via il fuggitivo, James e sua moglie Mary (Lena Headey) si trovano davanti alla scelta di fare ciò che è moralmente giusto e quindi proteggerlo, oppure sacrificarlo consegnandolo a quei criminali aventi diritto, armati di machete e mitra, per salvaguardare la loro famiglia.
Il marchio di fabbrica sulla carta sembrerebbe essere quello vincente: il produttore Jason Blum, che ha dalla sua successi low-budget come la serie di Paranormal Activity oltre che le sorprese Insidious di James Wan e Sinister di Scott Derrickson. A lui il regista-sceneggiatore James DeMonaco (qui alla sua seconda prova da regista dopo Staten Island) ha sottoposto la sua provocatoria storia. La Blumhouse Productions, affiancata dalla Platinum Dunes di Andrew Form, Brad Fuller e Michael Bay e dalla Why Not di Sébastien Lemercier, ha deciso di scommetterci e di farne un film dall’idea di partenza originale e dalla suspense altissima.
Cosa si è disposti a fare, anche contro la propria etica, pur di difendere la propria famiglia?
L’impulso, che qui diventa ossessione, verso la protezione, porta ad erigere barriere che dividono dal mondo esterno, percepito ormai solo come fonte di minaccia. Cancelli, muri, sistemi di sicurezza sofisticatissimi: ma poi qualcuno li infrange, mettendo in discussione le regole dello Sfogo. In realtà la famiglia Sandin finge di appoggiare la “Purga” annuale mentre poi non vi partecipa chiudendosi in casa. Fondamentalmente perché non condivide quel brutale bagno di sangue. Ma è lo “Sfogo” a irrompere dentro le mura di casa obbligando la famiglia a una scelta cruciale: uccidere o essere uccisi.
A un inizio stimolante non corrisponde però uno sviluppo all’altezza e il film man mano che procede perde in originalità, pur nel suo interessante gioco di interrogativi morali.
La notte del giudizio resta un thriller pervaso da un continuo senso di angoscia che non scivola quasi mai nell’horror e che mostra la faccia violenta dell’America, quella che negli ultimi anni ha dominato le cronache, tra stragi in cinema, centri commerciali, scuole; la stessa America che vende le armi nei supermercati. L’uso e l’abuso delle armi sono sbattutti in faccia allo spettatore in un’escalation di violenza quasi da brividi, un assalto mascherato in stile Halloween in un inquietante e beffardo gioco di rimandi cinematografici, da Arancia meccanica al capolavoro di Haneke Funny Games (evidenti i richiami ai ragazzi dall’apparenza perbene e dall’animo assassino e torturatore).
Il punto di forza del film è il paradosso su cui è costruito: una sola notte di violenza che funge da controllo sulla violenza stessa e da rito annuale di purificazione di una società rinata dalle sue stesse ceneri.
Un’opera durissima, claustrofobica, capace di innovare regole della vecchia suspense ma che scivola in qualche passaggio poco chiaro e in un finale dall’esito troppo scontato su cui le parole di notiziari radio e tv fungono da superflua chiosa moraleggiante.
Elena Bartoni