Open Grave – Recensione
Open Grave è un film rimasto in latitanza dal 2006 quando la sceneggiatura dei fratelli Borey finì nella lista nera delle produzioni a causa, probabilmente, del coraggioso (e possiamo dire riuscito) tentativo di svecchiare un sottogenere horror che non sveleremo per non togliere il gusto a chi ancora il film lo deve vedere.
Quasi impossibile, quindi, raccontare la trama senza svelare elementi che devono essere visti e vissuti guardando la pellicola, per cui ci limiteremo a dire che questo film si apre con un uomo (Sharlto Copley) che si risveglia in una fossa piena di cadaveri senza ricordarsi chi è e, in una casa persa tra i boschi, ritroverà altre persone nella sua stessa condizione.
Affidando la regia allo spagnolo Gonzalo López-Gallego, i Borey Brothers decidono di portare lo spettatore alla minuziosa indagine dell’importanza della memoria nel definire quello che noi siamo. Sotto una regia a tratti pindarica, ricca di sfocature, soggettive e primi piani, si raggruppano sei sconosciuti che non ricordano minimamente chi sono e che cosa fanno lì. La loro casa nel bosco è circondata da cadaveri appesi agli alberi, ma i motivi rimangono oscuri, almeno fino agli ultimi minuti del film dove, tutte le domande che ci siamo posti, troveranno finalmente una risposta.
Quello che con un inizio angosciante richiama le atmosfere di “Buried”, ben presto si trasforma in un survival movie dalle tinte originali, che gioca con i demoni interiori e con la psiche dei protagonisti e del pubblico stesso, intento a scervellarsi nel capire il motivo della presenza di queste persone in questa landa dimenticata da Dio.
“Open Grave” ha quel qualcosa che riesce a prendere lo spettatore e a trascinarlo nel labirinto dei ricordi sconnessi dei protagonisti ponendosi come una pellicola nuova, un misto tra l’horror e il thriller psicologico ben riuscito. Sì perché il regista riesce ad incastrare perfettamente i momenti paurosi, con quelli più cervellotici, finendo in una spirale di tensione che cresce con il passare dei minuti e che risulta particolarmente efficace nel tenere il pubblico incollato alla poltrona.
Come detto in precedenza, già dalle battute iniziali si comprende come il ritmo sia serrato e man mano che procede il film, si percepisce come la struttura narrativa sia ben ponderata e non lasciata in balia delle mode del pellicole di genere. Anche perché “Open Grave” si colloca in un sottogenere che fa respirare aria nuova ad un tipo di cinema che, per troppo tempo, ha girato su se stesso riproponendo storie troppo simili tra loro.
La pellicola di López-Gallego è, infatti, un piccolo gioiellino indipendente, una bella sorpresa di fine estate.
Sara Prian