L’Arbitro – Recensione
Il calcio è come la religione, questo è ciò che il regista sardo Paolo Zucca vuol comunicare con una pellicola che vuol essere commedia e allo stesso tempo parabola ascendente e discendente che ricalca il detto “chi troppo vuole nulla stringe”.
“L’arbitro” è la storia parallela di un direttore di gara di massima categoria, Cruciani (Stefano Accorsi) e quella di un paesino della campagna sarda. Il calcio li accomuna, Brai (Alessio Di Clemente) è il capitano della squadra del Montecristu, mentre Prospero (Benito Urgu), è l’allenatore cieco del Pabarile. Le due squadre di paese sempre sul piede di guerra, si scontreranno e Cruciani, per caso fortuito arbitrerà la loro ultima sfida.
La religone e allo stesso tempo la guerra, fanno de “L’arbitro” una pellicola costruita su immagini parallele, discordanti, che alla fine si ritrovano ad avere dei punti in comune. Parallela è pure la costruzione della sceneggiatura, così come quella del montaggio, in alcuni tratti caotico. Proprio la continua alternanza fra il contesto sardo e quello dell’arbitro di calcio a livello europeo, è infatti uno degli aspetti negativi del film, la seconda è l’interpretazione di Stefano Accorsi.
Il Principe, così viene chiamato dai colleghi, un nome che dice tutto, in primo luogo il ruolo da star che il regista ha riservato ad Accorsi, che con una recitazione a tratti troppo esagerata, trasmette si l’idea di parabola ascendente e discendente della carriera, ma allo stesso tempo, da troppa enfasi al suo personaggio.
La musica, presente in modo particolare nelle scene proprio di Accorsi, riesce ad esaltare l’interpretazione dell’arbitro con troppe manie di grandezza, ma in molte occasioni rischia di rovinare la scena e distrarre dal resto della storia.
Buone invece le interpretazioni del resto del cast. Benito Urgu in primis, così come Alessio Di Clemente, la divertente Geppi Cucciari, sempre spalla comica, ma incisiva.
Tra il genere western, in particolare nelle scene di calcio con le due squadre che si fronteggiano in campo e la tipica commedia all’italiana, grazie anche al bianco e nero che ricorda le pellicole anni ’50-’60, il film di Paolo Zucca riesce, ma in parte.
Ottima la regia, con inquadrature ben studiate, attenzione particolare alla geometria e ai riferimenti cristologici e buona la chimica fra i componenti del cast. Un film divertente e divertito, che purtroppo ha convinto, ma per metà.
Alice Bianco