Parkland – Recensione
Parlare di un personaggio come John Fitzgerald Kennedy in maniera nuova ed originale è sicuramente un’impresa non da poco che Peter Landesman, giornalista qui all’esordio alla regia, non riesce a compiere portando al Lido un film troppo legato all’America e fortemente didascalico.
“Parkland” racconta il giorno dell’assassinio del presidente Kennedy e i tre giorni seguenti, dal punto di vista di tutte quelle persone che, in un modo o nell’altro, si sono trovate coinvolte.
La vicenda è conosciuta anche per chi non ha vissuto gli anni ’60, quello che quindi ci si aspettava da Landesman era uno sguardo diverso su questo pezzo di storia. “Parkland” è invece una sorta di Wikipedia trasformata in immagini, dove non si fa altro che riportare i fatti senza un pizzisco di emozione, nonostante un avvio di pellicola concitato con l’arrivo all’ospedale dopo la sparatoria del Presidente.
Il metodo fin troppo didascalico del regista, mette in ombra le storie degli uomini protagonisti, che sarebbe stato il punto di vista più interessante da riportare sullo schermo. Lo spirito giornalistico di Landesman ha, invece, il sopravvento, trasformando il film in un documento storico valido e didattico, ma per niente emozionante.
Raccontare le paure e il disagio di una nazione intera attraverso le facce e le vite dei suoi molti protagonisti, non passa minimamente per l’anticamera del cervello al cineasta che vuole solamente riportare i fatti così come sono accaduti istruendo lo spettatore che inizia, inevitabilmente, a sbadigliare come se si trovasse ad una lezione noiosa.
Non c’è appeal, soprattutto per un pubblico nostrano, che non si ritrova coinvolto nemmeno nella memoria su un fatto che, se lo ha vissuto in prima persona, lo ha sentito da lontano. Il cast stellare (da Zac Efron a Billy Bob Thorton, passando per James Badge Dale) non brilla come dovrebbe a causa di ruoli che non vengono scritti con spessore, con coscienza, ma si trasformano in macchiette, pedine da muovere su un tabellone per capire chi e cosa c’era in quel dato giorno per raccontare quel determinato fatto.
Sono, infatti, gli eventi gli unici protagonisti della storia che non hanno dei veri protagonisti ma soltanto dei passanti, figuranti con i quali non ci si riesce a rapportare realmente. Impossibile, dunque, non paragonare “Parkland” con il “Bobby” di Emilio Estevez. Anche in essa si racconta la morte di un Kennedy, portando sullo schermo, le vite di moltissimi personaggi, ma qui Estevez fa quello che Landesman si dimentica di fare: parla di loro, racconta le loro emozioni davanti ad un evento che ha cambiato il mondo e l’America.
Sarebbero i sentimenti a fare di “Parkland” un gran film, se solo fossero presenti.
Sara Prian