Il mondo di Arthur Newman – Recensione
Per il proprio esordio alla regia Dante Ariola decide di rispolverare il mito de “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello, portando in scena un protagonista che decide di inscenare la sua scomparsa / morte per ricostruirsi una vita, con una pellicola che rimane troppo contenuta per esprimere completamente il suo potenziale.
Wallace Avery (Colin Firth) ex direttore della FedEx ha un matrimonio disastroso alle spalle, non riesce a comunicare con il figlio ed è in crisi con l’attuale fidanzata. Decide così di cambiare vita, diventare Arthur Newman e partire verso il sogno di diventare un grande insegnante di golf nell’Indiana. Sul suo percorso, però, incontrerà la disastrata Mike (Emily Blunt) che scombussolerà la sua intera esistenza.
“Il mondo di Arthur Newman” è un classico road movie con protagonisti due opposti che si completano, si amano e poi si allontanano, il tutto però senza mai andare oltre le righe, portando sullo schermo un amore poco esplosivo e molto contenuto che infiacchisce uno script profondo e ricco di spunti.
Di cose belle, infatti, ce ne sono e riguardano soprattutto i cambiamenti dei due protagonisti che mutano in continuazione i loro sentimenti, ma in maniera quasi invisibile ed impercettibile. Questo diventa perciò un’arma a doppio taglio per la pellicola che se da una parte diventa intima ed introspettiva, dall’altra porta a galla un’estrema lentezza nel proseguire della storia.
L’intera struttura narrativa così costruita, infatti, sembra procedere solamente a singhiozzo, come gli intermittenti scoppi della marmitta di una vecchia Mercedes cabriolet, la stessa su cui viaggiano i due protagonisti, che fatica ad andare avanti e compiere il suo percorso.
Ariola fa avanzare a sussulti la storia della ricerca di un proprio io, dello spogliarsi di quello che si era, per cercare di essere qualcun altro. A questo si aggiunge sullo sfondo, la storia del figlio di Wallace/Arthur che si domanda su chi sia davvero suo padre e se ne sia valsa realmente la pena di prendere le distanze da un uomo che non era mai presente.
Il tutto rimane però sospeso, con una sensazione di inconcludenza fastidiosa e di un bisogno che tutti questi sentimenti così contenuti, così soffocati, debbano prima o poi esplodere, ma che sfociano, invece, nel nero dei titoli di coda.
Sara Prian