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Una Fragile Armonia – Recensione

Dopo il quartetto scanzonato e leggero di Dustin Hoffman, arriva quello più serio, poetico e profondo di Yaron Zilberman che, con il suo debutto al lungometraggio,  decide di parlare di come vita e musica si possano fondere per formare un’armonia che a volte stona, ma che altre trasforma più voci in un’unica.

“Una fragile armonia” racconta la storia di un quartetto “The fugue” che dopo 25 anni di concerti deve affrontare la malattia di uno dei suoi componenti, Peter (Christopher Walken),  affetto dai primi stadi del morbo di Parkinson. Entra così per la prima volta in crisi l’intero gruppo, composto inoltre da Jules (Catherine Keener), Daniel (Mark Ivanir) e Robert (Philip Seymour Hoffman), che dovrà avere a che fare con i problemi non solo lavorativi, ma anche di vita vera che ne scaturiranno.

“Per noi suonare così a lungo significa che i nostri strumenti devono essere riaccordati. Ognuno in un modo diverso… è un casino! E cosa dobbiamo fare, fermarci o faticando continuare ad adattarci l’un l’altro fino alla fine anche se siamo fuori tono?”

Ed è con questa frase riferita ad una delle opere che il quartetto deve suonare che si comprende il taglio che Zilberman ha deciso di dare all’intera pellicola. I cambi di tono, di colore, di armonia, non appartengono solamente agli strumenti musicali, ma anche alle persone di cui violino, viola e violoncello diventano la rappresentazione metaforica.

Il regista però non decide solamente di limitarsi alla musica, ma ad un certo punto vira decidendo di parlare in maniera più universale dell’arte. “Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.” diceva Gabriele D’Annunzio e Zilberman sembra prenderlo in parola trasformando la sua opera artistica in uno specchio della vita stessa, dove il percorso delle note sul pentagramma, con il suo continuo inquadrare gli appunti “piano”, “lento”, “veloce”, diventa il simbolo dell’incedere della vita dei quattro protagonisti e degli spettatori stessi.

E così tra momenti sottotono, picchi, andanti, adagi e fughe prosegue anche l’esistenza di quattro personaggi tutti perfettamente caratterizzati ed inseriti in una cornice poetica ma profondamente reale. Facile infatti entrare in empatia con loro, difficile non riuscire ad entrare in sintonia con una storia che decide che non debbano esserci attori non protagonisti. Così come il secondo violino, infatti,  è estremamente importante per la riuscita di una sonata, così ogni energia in campo cinematografico diventa fondamentale per la riuscita di una pellicola corale.

“Una fragile armonia” è un continuo rimando metaforico che partendo dalla musica, richiama altri campi e settori diventando un’opera universale che emoziona nella sua semplicità di raccontare come da una piccola miccia si possano scatenare dinamiche sia distruttive che, poi, riappacificanti. Un film da vedere, sentire e vivere, che riesce a far vibrare con sincerità la corda delle emozioni.

Sara Prian

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