Il futuro – Recensione
Primo film tratto da un romanzo del grande scrittore cileno ormai divenuto oggetto “di culto” Roberto Bolaño (1953-2003), arriva nelle sale Il futuro diretto dalla regista cilena Alicia Scherson (al suo terzo film dopo Play e Turistas).
Tratta da “Un romanzetto lumpen”, la pellicola è la prima vera coproduzione tra Italia (con la Movimento Film di Mario Mazzarotto), Cile, Germania e Spagna. Scritto dal grande autore durante un soggiorno a Roma, il film è ambientato nella capitale. Vi si racconta la storia di due fratelli adolescenti di origini cilene Bianca e Tomás (Manuela Martelli e Luigi Ciardo) che, rimasti orfani, si addentrano in una spirale di crimine e prostituzione spinti da due piccoli delinquenti Libio e Bolognes (Nicolas Vaporidis e Alessandro Giallocosta) che si fingono loro amici. La speranza arriva però da Maciste, una ex stella del cinema mitologico (Rutger Hauer) vecchio, cieco e affascinante con cui Bianca è costretta da Libio e Bolognes a prostituirsi al fine di scoprire dove l’uomo tiene nascosta la sua cassaforte. L’uomo tutto muscoli e dal grande cuore farà sentire Bianca al sicuro e le farà vedere una luce per il futuro.
“Il mio sforzo è stato di trasformare una sensazione, immateriale e astratta, in qualcosa di concreto”, queste parole della regista ben sintetizzano la difficoltà principale nel trasformare la pagina scritta in immagine cinematografica. Una sfida che può dirsi in parte riuscita, tanto che il film è stato presentato al Sundance Film Festival e all’International Film Festival di Rotterdam (dove ha vinto il premio della critica olandese) e ha ricevuto l’apprezzamento della vedova di Bolaño.
Il film è il racconto di un degrado, morale e spirituale, una discesa agli inferi dell’anima di due adolescenti incapaci di elaborare il dolore della perdita dei genitori. Ed ecco il vuoto, le difficoltà di vivere, le amicizie pericolose e l’adesione a un disegno criminale.
Tutta la prima parte del film risente di una certa ingenuità e della non sempre efficace caratterizzazione dei personaggi dei quattro giovani, nella seconda parte però la pellicola prende una strada diversa ingranando una marcia più decisa. Con l’entrata in scena del personaggio di Maciste (cui Rutger Hauer offre carisma e presenza scenica), ex divo interprete di pellicole mitologiche nei dorati anni ‘60 della nostra Cinecittà, la pellicola acquista spessore proprio in quello strano rapporto che si instaura tra Bianca e l’anziano attore. Inseguendo, quasi pedinando, la strana coppia nei meandri della villa pomposamente decadente del divo, la regista dimostra di saper rendere efficacemente (senza cadere mai nella tentazione di inutili scene morbose) le dinamiche di un rapporto dolcemente perverso che nasce per una forzatura ma che diventa una via di salvezza. E così la ragazza, vittima indifesa, verrà salvata dal forzuto eroe che le spalma il corpo di olio prima di ogni incontro. Il percorso di conquista del potere da parte della giovane Bianca, che corrisponde a una sua maturazione psicologica e sessuale, può dirsi alla fine completo ponendo fine a quella “tormenta” interiore che attanagliava la sua anima.
Al di là di una prima parte non perfettamente riuscita, la regista ha però dimostrato di saper mantenere con il suo stile asciutto quella particolare “atmosfera” tipica dei romanzi dello scrittore cileno collocando la vicenda in una Roma particolarissima e diversa da quella descritta da Bolaño, una sorta di “anti Roma” fatta di macerie e palazzoni, una capitale “lumpen” (aggettivo che vuol dire appunto “sottoproletario”) vista da un’angolazione inedita rincorrendo con la macchina da presa luoghi periferici sconosciuti e ricchi di fascino, funzionali allo spaesamento dei due giovani protagonisti.
Una nota finale obbligatoria. “Il fenomeno Bolaño” è scoppiato nel 2007 quando gli americani scoprirono la sua opera. Ma i cileni erano assidui lettori del romanziere ancora prima che diventasse una “superstar”, compresa la regista che aveva acquistato i diritti di “Un romanzetto lumpen” nel 2006 e che ha girato il film cercando di non pensare al fatto che l’autore nel frattempo fosse diventato uno scrittore così “fashion”. E di questo non possiamo che esserle grati.
Elena Bartoni