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Lo Sconosciuto del Lago – Recensione

Partiamo subito con le premesse: “Lo sconosciuto del lago”, premio alla miglior regia di Alaine Guiraudie nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes, non è un film per tutti. La sua complessità non sta nella struttura o impianto narrativo, semplice ed immediato, ma nella libertà in cui certe scene, esplicite, vengono proposte allo spettatore. Per accettare il cinema di Guiraudie, questa volta, bisogna essere aperti e pronti all’onestà registica e anche narrativa.

Il Lago è testimone degli incontri sessuali che avvengono, tra le mangrovie,  in questa spiaggia frequentata da omossessuali. Qui incontriamo Franck (Pierre Deladonchamps) che perderà completamente la testa per Michel (Christophe Paou) fino a spingersi al limite della passione più sfrenata.

Metaforicamente parlando quello che il regista crea è una sua visione dell’Eden, rappresentato dal lago, dove Michel assume le sembianze del serpente tentatore verso il quale Franck non riesce ad opporre nessuna resistenza. Ed è proprio la passione uno degli elementi sui cui Guiraudie pone l’attenzione. Quali sono i confini di questo sentimento? Si possono porre dei freni quando è il corpo a prendere il sopravvento su tutto e spingersi fino sul ciglio della morte solo per appagare i sensi?

“Lo sconosciuto del lago” è un film complesso, con uno sguardo surrealista che decide di rischiare e mettersi in gioco, portando sullo schermo un’ opera facilmente censurabile, ma dalla profonda valenza psicologica. Come Kim Ki-duk e il suo “Moebius”, Guiraudie si interroga sul sottile confine che separa passione e desiderio con pericolo, paura e dolore. Sullo stesso piano poi viaggiano anche ragione e istinto:  essere animali o essere umani? Combattere lo sfrenato desiderio di un uomo che ti ipnotizza e ti sottomette solo con lo sguardo, perché è di quello che si sta in fondo parlando, o reagire e riprendere se stessi? Il regista, dunque, si pone domande esistenziali intraprendendo un percorso battuto da pochi e che difficilmente può raggiungere il grande pubblico.

A fare da contraltare all’impeto e al rosso della passione, troviamo la calma, il verde e l’azzurro del lago. Quest’ultimo viene inoltre posto non solo come cornice agli incontri amorosi, ma anche come orologio che permette, attraverso la posizione del sole sullo specchio d’acqua, di comprendere se la giornata è trascorsa oppure no.

Quello che colpisce di questo film, a metà strada tra il thriller e la commedia,  è come riesca a far presa sull’immaginario, a caratterizzare i personaggi con pochissimi dialoghi, a viaggiare in bilico tra il convincente, l’inquietante e lo scandaloso.  Perché se da un lato si può pensare che se togliamo tutte le scene di sesso esplicito quello che rimane di questa opera è un cortometraggio, dall’altra bisogna dar merito a Guiraudie di aver intrapreso una strada originale, quella che scandaglia tutti i tabù cinematografici, che regala un cinema essenziale portando i suoi protagonisti a combattere con lo stesso pensiero degli spettatori davanti alla proiezione: scappare da tutto ciò oppure rimanere.

Sara Prian

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