Aspirante vedovo – Recensione
No, Aspirante vedovo non è un’aspirante remake de Il vedovo di Dino Risi, ma è piuttosto un film liberamente ispirato a quel capolavoro della commedia all’italiana.
Liberamente ispirato appunto, per caratteri, dinamiche, rapporti di forza, al film del 1959 di Risi, Aspirante vedovo ha per protagonista Alberto Nardi (Fabio De Luigi) un giovane imprenditore che colleziona fallimenti, l’unico suo successo è stato quello di sposare Susanna Almiraghi (Luciana Littizzetto) ricca industriale del nord. La donna è stanca di quel marito inconcludente e vuole lasciarlo affogare nei suoi debiti. Ma il destino sembra voler aiutare Alberto quando Susanna è vittima di un incidente aereo. Di colpo l’uomo intravede la sua possibilità di riscatto. Ma il sogno dura poco: Susanna non è mai salita su quell’aereo e tre giorni dopo ritorna al suo posto più dura di prima. Ma quelle poche ore hanno lasciato il segno, Alberto ci ha preso gusto e inizia a pensare al modo per liberarsi di sua moglie.
Partendo dall’idea di una commedia ‘nera’ con venature di satira sociale, il regista Massimo Venier, coadiuvato dagli sceneggiatori Ugo Chiti e Michele Pellegrini, ha trasferito le vicende dall’Italia degli anni del boom economico di fine anni Cinquanta all’Italia di oggi in piena crisi economica. E se da un lato avevamo l’ingenuità e l’ottimismo di un Paese che iniziava a correre “con la smania di tutti di salire sul treno” come ha detto il regista, oggi siamo dominati dal cinismo e dalla paura “di chi sa che è iniziata la frenata e saranno in tanti a dover scendere”. Lo sfondo a tratti cupo e grottesco su cui si muovono i due protagonisti è quel mondo squallido in cui molti cercano di trarre vantaggio da un periodo di crisi e di arricchirsi alle spalle dei tanti che si impoveriscono. Ma, nel fotografare questa istantanea di un ambiente, si inanellano una serie di luoghi comuni un po’ abusati mescolando cenni ai poteri forti, come la Chiesa (il monsignore godereccio e traffichino amico dell’Almiraghi interpretato da Bebo Storti è il perfetto esempio di un certo tipo di clero) e le banche, ad argomenti di attualità come i giocattoli tossici o le morti bianche.
Quindi se l’operazione di “ripresa” di un vecchio capolavoro aveva per scopo l’aggiornamento all’oggi di certi vizi italiani, allora il film può dirsi riuscito a metà, anche se è apprezzabile e coraggiosa la scelta di mantenersi (finalmente!) distanti dall’obbligo del politically correct.
Se poi ci si focalizza sui due protagonisti, va detto che l’attualizzazione di una coppia composta da un marito ‘sfigato’ che vede nell’omicidio della moglie l’unico modo per farsi largo nel mondo dell’imprenditoria e da una moglie erede di una famiglia importante della grande industria italiana che vive nel suo mondo chiuso ed elitario, funziona solo a tratti. Nella trasformazione dei due caratteri si perde tanto e si crea qualcosa di nuovo ma non perfettamente congegnato come i vecchi ruoli interpretati da Alberto Sordi e Franca Valeri. Certo, visto che eguagliare i due mostri sacri non si poteva, gli sceneggiatori hanno inventato due personaggi diversi e per certi versi distanti dagli originali. Con qualche rischio. Il più grande è quello di far cadere il pur bravo De Luigi in una sorta di variazione sul tema dei suoi personaggi “sfigati” visti in tante commedie di successo con l’aggravante che il ‘suo’ Nardi rappresenta la perfetta incarnazione di tanti aspiranti (ahimè reali) imprenditori velleitari, cialtroni, sbruffoni, incapaci, con immancabile giovane amante arrivista. Quanto alla Littizzetto, che giustamente si mantiene lontana da qualsiasi tentazione di ‘rifare’ Franca Valeri, funziona proprio perché si allontana dal personaggio del film di Risi (ha perfino un altro nome) regalando una performance perfettamente in linea con le sue corde di attrice intelligente quale è.
Considerati i suoi punti deboli, Aspirante vedovo resta comunque un film di un gradino superiore rispetto ai tanti prodotti del genere “leggero” dell’attuale panorama cinematografico italiano soprattutto per quella vena di “nero” che lo percorre e che, seppur lontano dall’ironia amarognola del capolavoro di Risi, ne fa un esempio di commedia diversa ed elegantemente rispettosa di una pietra miliare del cinema italiano.
Elena Bartoni