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Escape Plan – Fuga dall’Inferno – Recensione

Ray Breslin, esperto di sistemi carcerari ed individuo di spiccata intelligenza, svolge un mestiere tanto insolito quanto rischioso. Si fa imprigionare di proposito sotto falso nome in carceri di massima sicurezza e ne mette alla prova l’efficienza tentando di evadere, in genere con successo. Quando accetta di testare un carcere diverso da tutti gli altri le cose non andranno come previsto, e si ritroverà prigioniero in un incubo claustrofobico per colpa di un tradimento. Un compagno di detenzione sarà un prezioso alleato nel venirne fuori. Sylvester Stallone ed Arnold Schwarzenegger formano un eccitante connubio di mostri sacri, il cui carisma resiste ostinatamente al trascorrere dei decenni, e quando lavorano insieme si intendono a meraviglia. Possiamo perciò definirli sprecati in questo action thriller irrisolto, di modesto interesse, e in definitiva assai più convenzionale di quanto si sforzi di NON essere. Il mettere l’accento sulle doti mentali dei protagonisti, ponendo in secondo piano la forza bruta, rappresenta sicuramente una variante non comune in questo genere di cinema. Tale premessa risulta però vincente solo nel lungo prologo introduttivo, nel quale oltretutto vediamo padrone della scena il solo Stallone. Poi comincia il calo inesorabile perché il meccanismo si inceppa, o per meglio dire si incanta e si incarta su se stesso, e il primo colpevole è la regia di Mikael Hafstrom. Quest’ultimo dirige con buon mestiere e buona volontà, rivelandosi tuttavia inadeguato sulla lunga durata, e cadendo a metà percorso nell’anonimato più scialbo. Nessun guizzo inventivo nelle sequenze di lotta e di sparatorie, nessun sussulto né genuino coinvolgimento, neanche in una battaglia finale agitata più che adrenalinica. A parte Sly e Schwarzy, incolpevoli a qualsiasi appello, poco da dire sul resto della compagnia. Vincent D’Onofrio si eleva come al solito parecchio sopra la sufficienza, ma è presente sullo schermo per un tempo troppo limitato perché la sua performance possa definirsi un valore aggiunto, mentre il grande Sam Neill sembra capitato lì per caso ed appare vagamente spaesato. Passabile la prova di Jim Caviezel sul sadico e compassato direttore della struttura, sebbene durante la visione nulla tolga dalla testa che un Ralph Fiennes in quel ruolo avrebbe reso dieci volte tanto. Il film è atteso dal dimenticatoio, le due leggende cadono in piedi.

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