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A Vida Invisivel – Recensione

Hugo, impiegato statale, siede a notte fonda sui gradini del ministero in cui lavora e non ha intenzione di tornare a casa. Lo tormentano il pensiero di un filmato trovato in casa del suo defunto amico Antonio ed il flusso di ricordi scaturito dalla visione. Alternati a sprazzi del filmato, scorci marittimi di un viaggio, vengono rievocati momenti significativi del passato di Hugo riguardanti la scoperta della malattia di Antonio e gli ultimi incontri con la donna amata. La cultura portoghese è destinata ad essere eternamente identificata con gli umori esistenziali più malinconici, e con la nostalgia di quel che non è più? Forse la “saudade” non ha un limite quando si manifesta, la pazienza dello spettatore (indipendentemente dal paese di appartenenza) invece sì. Rallentare i ritmi non è un crimine ma la lentezza, come la potenza, ha bisogno di controllo e in questo senso la regia di Vitor Goncalves sembra abdicare in partenza. Confonde l’introspezione con l’inerzia, e si intestardisce in una dilatazione dei tempi narrativi non giustificata da esigenze di scavo psicologico. Poco rilevante l’apporto degli attori, le cui performance sono mortificate da riprese gratuitamente monotone. E’ in definitiva un opera velleitaria e sbagliata, irrisolta, troppo spenta per affrontare argomenti connessi  alla vita come lo sono l’amore e la morte.

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