Acrid – Recensione
Vite di uomini e donne si intrecciano nell’Iran contemporaneo. Chi deve convivere con un partner che non ama e dal quale, per motivi differenti, non può essere amato; chi cerca ossigeno in una nuova relazione; chi deve affrontare il pregiudizio; chi lotta per la propria indipendenza e chi, di età più giovane, affronta i primi dispiaceri. E sono meno lontani tra loro di quel che si potrebbe pensare. Ne esce un mosaico variegato e di impronta semi-documentaristica, composto tramite movimenti di macchina essenziali, che si serve tanto dei dialoghi quanto di silenzi rivelatori. Acrid = “amaro”, ma è un’amarezza tinta di un cauto ottimismo verso l’avvenire. Se è evidente la critica nei confronti di una società ancora chiusa e tradizionalista, ostile alle esigenze ed agli istinti dei singoli, la speranza di un cambiamento emerge dalla capacità di autodeterminazione del proprio destino espressa dai personaggi. Malessere ed insoddisfazione, vissuti in diversa misura dai protagonisti di entrambi i sessi, non appaiono malattie inguaribili bensì derivate dal libero arbitrio. Forse è per questo che il finale sembra tronco, incompleto, e lascia alla platea il piacere di immaginare come proseguirà il flusso di quelle esistenze. E’in ogni caso un film di attori, e prima ancora di attrici, magnifiche interpreti di donne mai passive e palesemente prime artifici del mutamento sociale. Dalla loro parte è schierato il regista, pur non negando comprensione ed attenuanti alle spesso deboli figure maschili. D’autore, senza noia né presunzione.