Lanse Gutou – Recensione
Nella sezione fuori concorso di questo Festival di Roma arriva “Lanse Gutou” (Blue Sky Bones) dal regista cinese Jian Cui, un film complesso, dove la linearità spazio-tempo finisce per confondersi portando lo spettatore in un tunnel pieno di elementi da cui è difficile uscire.
Il protagonista della storia è un ragazzo di Pechino musicista elettronico che ama fare la sua musica utilizzando le possibilità che internet può offrire. Viene qui raccontata, attraverso di lui, la storia della sua famiglia con una serie di racconti che intrecciano vicende del passato più prossimo e del presente del protagonista.
Spazio e tempo: questi sconosciuti. Viene subito da pensare questo dopo la visione di un film così narrativamente complesso come “Lanse Gutou”, dove i piani di spazio e tempo si confondono, confondendo anche uno spettatore che uscirà dalla sala completamente confuso.
Sono moltissime, infatti, le informazioni di cui Jian Cui ci riempie, bombardandoci di situazioni, aneddoti, momenti che si fatica ad incasellare almeno fino alla fine della visione dove, anche se con difficoltà, si riesce a mettere in ordine qualche idea.
La pellicola risulta principalmente un omaggio alla musica, alla fotografia e ai colori, senza dimenticare un pizzico di storia, cultura e politica cinese. Quella a cui assistiamo è una sorta di autobiografia di Jian Cui, considerato il padre del rock cinese, in maniera casuale come se i racconti e i pensieri del regista venissero mostrati così come gli tornano in mente.
Fingendo che la pellicola sia un libro ci troviamo davanti al capitolo 1, ma poco dopo saltiamo al 15, poi torniamo al 3 e poi avanti al 20 e via discorrendo. Non c’è una continuità tale da permettere ad uno spettatore medio di poter essere attratto da una pellicola di questo genere, difficile anche per qualsiasi cinefilo.
Il sentimento che, infatti, prende il sopravvento è quello di completo spaesamento e di continua ricerca di un messaggio che alla fin fine non c’è.
“Lanse Gutou” non è un film semplice, mainstream, ma entra a pieno merito in un tentativo, non del tutto da buttare, di cinema sperimentale.
Sara Prian