L’arte della felicità – Recensione
Film d’animazione che al recente Festival del Cinema di Venezia ha riscosso successo durante la Settimana della Critica, L’arte della felicità, un cartone interamente made in Italy, è la prova di come a volte i fumetti possano essere portati sullo schermo, ma per farlo bisogna sapersi districare nella complessità degli argomenti e della narrazione.
Sergio è un tassista di Napoli e guida un’auto tutta bianca. Sotto la pioggia conduce i suoi clienti per la città cercando di elaborare la morte di suo fratello, Alfredo, partito dieci anni prima per il Tibet e mai più ritornato. Una cantante pop, un riciclatore di frammenti di vita, uno speaker radiofonico, un vecchio zio, sono questi i suoi clienti ed ognuno a modo suo, gli racconta qualcosa del fratello. Sergio travolto dai ricordi si riavvicinerà alla musica che amava comporre con il fratello e riprendendo in mano il pianoforte, sentirà di nuovo la presenza di Alfredo.
L’ambientazione del film, tipicamente surreale, rappresenta lo sfondo perfetto per raccontare la storia di questo tassista alla prese con la vita e con il suo significato più recondito, l’occasione perfetta avviene nel momento in cui egli viene a contatto con la morte, quella del fratello.
Come una melodia fatta di suoni di diversa altezza, ogni incontro e il conseguente ricordo riguardante Alfredo, raccontato da ogni cliente, diviene motivo di caos visivo e consequenziale nel film, che unendosi al tema principale, la ricerca della felicità, appunto, crea degli alti e bassi affettando la struttura narrativa e rendendola troppo spezzettata.
Raccontare qualcosa di così intenso e profondo come la morte, la malattia, la felicità e soprattutto il turbine dei ricordi, non è però così semplice, il fumettista napoletano Alessandro Rak ha cercato di farlo, forse perdendo un po’ il significato di quei nobili temi e creando un po’ di confusione narrativa.
Buone le immagini anche se probabilmente troppo spigolose seppur cerchino di avvicinarsi molto al tratteggio di una matita; esse sono ancora troppo poco sviluppate per poter competere con i maestri dell’animazione mondiale.
Il problema principale della pellicola rimane comunque la storia, il troppo divagare (Napoli e i problemi legati alla spazzatura) con argomenti che hanno poco a che vedere con il rapporto dei due fratelli e il mettere in campo temi ed argomenti affrontati troppo filosoficamente. Una prova riuscita a metà per un regista che lavorando potrà migliorare.
Alice Bianco