Colpi di fortuna – Recensione
Non c’è fine dicembre senza cinepanettone. Non c’è Natale al cinema senza battute scontate, volgari, trite e ritrite, senza tradimenti e sceneggiature imbarazzanti che Neri Parenti e compagnia decidono di regalarci. Come ormai da anni, più che “Colpi di fortuna” siamo davanti a dei veri, noiosissimi, colpi di sonno.
Come è di moda negli ultimi anni, la pellicola è divisa in episodi, tre per la precisione. Il primo, con protagonisti Lillo & Greg, racconta la storia di una padre di famiglia in crisi economica, che rimpiange l’epoca in cui era ballerino di Raffaella Carrà. Fino a che non scoprirà di aver ereditato dal padre un fratello minore. Il secondo, con Francesco Mandelli e Christian De Sica, racconta la storia di un imprenditore fortunato che sta per concludere l’affare più importante della sua vita, ma ha bisogno di un traduttore di mongolo. Quando lo trova è una di quelle persone più sfortunate al mondo. L’ultimo episodio, con Luca e Paolo, dove i due amici vincono una grossa cifra al Lotto, ma perdono il biglietto. Saranno così costretti a fare un viaggio alla ricerca del biglietto perduto.
Parlare male del cinepanettone di turno si sa, è un po’ come sparare sulla croce rossa. Basterebbe prendere la recensione dell’anno scorso, spostare gli addendi, ma il risultato è sempre lo stesso: la sempre più vicina morte del cinema italiano, o meglio della commedia all’italiana.
Se nelle scorse settimane abbiamo visto un lume di speranza con il film di Pieraccioni, “Un fantastico via vai”, questo giovedì siamo di nuovo caduti nell’oblio dal quale usciremo solamente a gennaio grazie a Paolo Virzì e al suo capitale umano.
Perché questo “Colpi di fortuna”, è il perfetto esempio di cosa non funziona nella nostra industria cinematografica, ma soprattutto nel pubblico italiano che riempie le sale per questo tipo di pellicole. Va bene staccare il cervello, divertirsi, ma in un film come questo di Neri Parenti, non si ride nemmeno, anzi ci si sente in imbarazzo per il povero sceneggiatore costretto a scrivere certe battute e per gli attori costretti (?) a recitarle. Se Brizzi, nella sua imperfezione, fa presa nel pubblico raccontando una famiglia particolare e dei pranzi cene di natale in cui tutti, in un modo o nell’altro, possiamo rivederci e quindi ridere di noi stessi, qui bisognerebbe solo piangere per essersi ridotti a sorridere per battute che funzionavano, forse, negli anni ’80.
Certo il segmento con Lillo e Greg all’apparenza sembra il meno peggio tra i tre, ma solo perché si intravede un minimo di struttura narrativa che negli altri due manca completamente o si perde nel proseguo della vicenda (vedi episodio con Luca e Paolo).
Qui si pensa solo a farcire una pellicola di fastidiosi stereotipi, finendo per far solo del male ad un cinema che già zoppica di suo e in particolar modo al genere commedia, che ormai, quella con la C maiuscola, è cosa rara in Italia e capita una volta o due l’anno (vedi Giorgia Farina con “Amiche da morire” o Pieraccioni o anche “Viaggio sola”, ma lì già si parla di un riso amaro). E si fa male anche al pubblico, perché lo si abitua a storielle tutte all’italiana con il lieto fine, dove è vietato far riflettere, ma è obbligatorio illudersi e sguazzare nel falso buonismo che, fra poco, non appartiene più nemmeno alla Disney.
Mancano le idee a “Colpi di fortuna”, che spulcia frammenti di altri film facendone un minestrone indigesto anche per i palati meno raffinati, perché, diciamocela tutta, continuare a rivedere ogni anno riproposte le stesse imbarazzanti scenette, stanca chiunque.
Sara Prian