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Tutta colpa di Freud – Recensione

Un padre psicanalista e tre figlie con problemi di cuore. Un padre quindi, ma “il padre” della psicanalisi c’entra poco. E forse non c’era neanche bisogno di scomodarlo nel titolo.
Reduce dal successo di Una famiglia perfetta, Paolo Genovese mette in scena un’altra famiglia, reale questa volta, ma piuttosto imperfetta a dire il vero.
Francesco Taramelli (Marco Giallini) è un padre cinquantenne che ha cresciuto da solo tre figlie ma è anche un analista. I suoi tre casi più disperati sono proprio le sue ragazze: Marta (Vittoria Puccini) libraia sfortunata in amore che si innamora di un ladro di libri sordomuto (Vinicio Marchioni); Sara (Anna Foglietta), lesbica reduce dalla rottura con la sua fidanzata americana che torna da New York decisa a diventare etero per non soffrire più; Emma, la più piccola, diciottenne che perde la testa per l’aitante cinquantenne Alessandro (Alessandro Gassman). A complicare le cose, ci si mette l’infatuazione di Francesco per una donna misteriosa ed elegante (Claudia Gerini) che l’uomo segue nel suo quartiere senza avere il coraggio di avvicinarla, salvo poi scoprire che è sposata con il maturo amante di Emma.
Siamo nello studio di uno psicanalista ma non vediamo mai nessun paziente sdraiarsi sul suo lettino (che è poi una poltrona di design con poggiapiedi abbinato) tranne le sue tre figlie. I problemi sono sempre gli stessi (se parliamo di commedia italiana), gli affari di cuore. E di commedia sentimentale si tratta, il genere in cui Paolo Genovese ha saputo esprimersi meglio dopo la separazione dall’amico-collega Luca Miniero (con cui ha mosso i primi passi nella regia cinematografica) . Dopo aver trovato il successo con i suoi Immaturi e i loro problemi di cuore, il regista continua a parlare di immaturità in amore.
Pur piacevole alla visione (nonostante i 120 minuti di durata, forse un po’ troppo per una commedia italiana), il film riesce però solo a metà, perfettamente in equilibrio tra aspetti positivi e difetti che sono più che altro “nel manico”.
Di riuscito c’è innanzitutto un tocco di leggerezza mai volgare, da vera commedia poco italiana e quasi americana, un cast di attori capaci di rendere al meglio i loro personaggi e offrire prove convincenti (in testa a tutti un Marco Giallini sempre più bravo), una narrazione fluida, una cura per le ambientazioni ammirevole (ben girate le scene iniziali nella Grande Mela, pregevole l’ambientazione romana che ha il merito di rendere al meglio gli scorci più belli di quel triangolo che va da via dei Coronari, a Piazza Navona e a Piazza Capo de’ Fiori), una bella colonna sonora composta da brani ‘ad hoc’ (anche se un po’ troppo incombenti su alcune scene-chiave). Sul fronte delle note stonate, va registrato soprattutto il ritmo delle scene, che risente un po’ troppo di tempi a metà strada tra la fiction televisiva e la sit-com americana, e lo spreco di un tema interessante come quello della ‘diversità’ (abbiamo una lesbica e un sordomuto) con siparietti a metà strada tra il comico e il romantico (anche se il dialogo tra Marta e il ragazzo sordomuto con l’ausilio di cartelli stradali comunica grande tenerezza).
Tratto da un romanzo dello stesso Genovese e da un soggetto pensato dal regista insieme a Paola Mammini e Leonardo Pieraccioni, il film scorre via leggero azzeccando qualche battuta e indovinando qualche personaggio più degli altri (una su tutti, la figlia lesbica interpretata con perfetta misura da Anna Foglietta).
Nonostante qualcuno dei finali delle diverse storie resti significativamente aperto (vedi la coppia Gerini-Gassman e un provvidenziale cuscino per la cervicale), la morale è sempre quella della favola dei buoni sentimenti (e la scena finale che ritrae il papà con la più piccola delle figlie non poteva essere un suggello più adatto a un film sull’amore in tutte le sue diverse forme).
Tutta colpa di Freud resta in definitiva una commedia che accontenterà gli spettatori in cerca di evasione e romanticismo diretta da un regista che, a ben guardare, poteva osare di più avendone i mezzi, l’intelligenza, il talento.

Elena Bartoni    
 

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