Vijay Il Mio Amico Indiano – Recensione
Uccidere se stessi per rinascere sotto altra forma. Sembrerebbe più un tema metafisico per registi come Aronofsky, Lynch oppure Boyle; invece siamo davanti alla commedia di Sam Garbanski, che aveva sorpreso tutti con l’ottimo ‘Irina Palm’, ma che qui sforna una pellicola che si lascia vedere, senza però emozionare o trovare picchi.
Will (Moritz Bleibtreu) è un attore di talento la cui carriera ha però preso una piega inaspettata, finendo a fare il coniglio in una serie per bambini. Depresso perché nessuno, apparentemente, si è ricordato del suo compleanno, Will se ne va via dallo studio con la sua macchina, lontano dalla famiglia e dagli amici per schiarirsi le idee. Il destino però vuole che la sua utilitaria venga rubata da un ubriacone che finisce per schiantarsi contro un albero carbonizzando se stesso e l’autovettura. Tutti penseranno che Will sia morto e l’attore prenderà la palla al balzo per costruirsi una nuova vita in cui far innamorare nuovamente la propria moglie, ma questa volta nei panni di Vijay, l’amico indiano.
‘Vijay, il mio amico indiano’ si capisce fin da subito che è una commedia dalle grandi pretese, che punta a far riflettore lo spettatore, tralasciando però un po’ troppo l’aspetto comico e divertente dal quale spicca solamente Danny Pudi, l’amico indiano che dà una mano a Will nella trasformazione.
Garbanski infatti, scegliendo la commedia come genere per la sua pellicola, ci parla di rinascita, ripartenza e ricostruzione. Con la morte spirituale di Will e la nascita di Vijay il regista ci pone, in maniera subconscia, davanti ad un ragionamento più importante e più profondo; quello del ritrovare se stessi sotto un’ altra forma.
In una versione più leggera e sicuramente, in questo caso, meno pretenziosa, Garbanski prende spunto dalla metempsicosi platoniana dove l’anima di Will ha la possibilità di purificarsi e rinascere nel corpo di un altro (anche se è sempre lui). Solo così il protagonista riesce a far uscire una parte di sé che era persa per sempre, solo così può fare tabula rasa e far innamorare nuovamente sua moglie.
Non manca nemmeno un piccolo, leggero, ragionamento sul ruolo dell’attore e del labile confine che a volte divide la persona dal personaggio.
Ovviamente, però, tutto questo, che sarebbe un ottima idea e un buonissimo punto di partenza, finisce nelle mani di un regista che non riesce ad incanalarlo nel modo giusto, sfornando una commedia che fa pensare leggermente, ma nemmeno coinvolge o emoziona.
E così tutte queste tematiche rimangono sospese, si percepiscono, ma non riescono ad incidere uno spettatore che rimarrà solamente sfiorato da questa pellicola che poteva offrire molto di più.
Sara Prian