La scuola più pazza del mondo – Recensione
Arriva dal Giappone e dalle mani di Hitoshi Takekiyo, novellino del lungometraggio, ‘La scuola più pazza del mondo’, opera apprezzabile più per le idee che per la realizzazione, che finisce per diventare una pellicola piena di spunti, ma senza una completa realizzazione.
Mako, Miko e Mutsuko sono tre bambine che vanno in visita alla nuova scuola elementare St.Claire. Intrufolandosi nell’aula di scienze, scoprono un modello anatomico che per loro diventa un giocattolo su cui scarabocchiarci sopra. Ma di notte, il modello prende vita e, arrabbiato, decide di tramare vendetta aiutato dallo scheletro Goth e dalla Coniglio Mafia. Le tre bambine dovranno affrontare alcune prove, per riuscire a guadagnarsi il rispetto di questa gang sgangherata.
Essendo un prodotto di origine orientale, quello che ci aspetteremmo di vedere è un film che ha tutte quelle caratteristiche, invece, no. Takekiyo decide, sorprendentemente, di virare tutta la sua pellicola verso l’animazione occidentale tanto che, se non si leggesse il nome del regista, ad un primo sguardo potrebbe passare tranquillamente per un’opera europea: spagnola, francese o belga.
Pur mantenendo alcune peculiarità giapponesi, quello che ne esce è un incrocio particolare, che non si capisce bene dove voglia andare a parare.
‘La scuola più pazza del mondo’, infatti, diventa un minestrone pieno di tematiche e generi che confondono lo spettatore e lo portano ad una serie infinita di interpretazioni rispetto a quello che sta vedendo.
Takekiyo sembra prendere d’esempio l’Ulisse di Joyce nella sua messa in scena, portando sullo schermo uno stream of consciousness, che confonde paradossalmente più gli occhi che la mente. Sì, perché il regista giapponese, è come se lanciasse sullo schermo immagini su immagini, un circo di colori e personaggi da far girare la testa, ma che finisce irrimediabilmente per non condurre da nessuna parte.
C’è da mettere in chiaro anche che il film non è assolutamente per bambini, nonostante il fuorviante marketing, perché la storia si inserisce in una cornice onirica, psicologica, gotica da film per adulti. Anche questa però, che sarebbe potuto essere il punto di forza della pellicola e che, forse, lo avrebbe reso un piccolo cult, non viene sviluppata, probabilmente per paura di non riuscire ad arrivare proprio al pubblico dei più piccoli.
Takekiyo, sembra non aver bene in mente il suo target e per questo crea una pellicola ibrida, piena di elementi interessanti che non vengono sviluppati, parallelamente ad una componente infantile che finisce per rovinare l’atmosfera di quello che poteva essere un buon anime per il pubblico più grande, se solo il regista asiatico avesse saputo mantenere le redini di un film che parte per la tangente senza ritrovare mai la strada giusta.
Sara Prian