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Il Superstite – Recensione

Buon esordio al lungometraggio per il regista scozzese Paul Wright, che ci regala un film puro, ma allo stesso tempo disturbante, ricco di sentimenti con un protagonista con il quale si entra subito in empatia, in un percorso interiore nell’accettazione del lutto.

Aaron (George Mackay) è un ragazzo disadattato di un piccolo paesino della Scozia ed è l’unico sopravvissuto in uno strano incidente in mare, dove ha perso la vita anche suo fratello maggiore. La comunità incolpa Aaron dell’accaduto che, rifiutando l’idea della morte, si spinge in mare aperto per ritrovare il fratello.

Toccare il fondo, del mare, per poi risalire in superficie per tornare a respirare, per tornare a vivere dopo una perdita dolorosa e inaccettabile.
 
Wright riesce in maniera intelligente e ben costruita a mettere in scena una storia adottando un modo originale di raccontare la vicenda,  utilizzando interamente il punto di vista, disturbato, del protagonista.

Questo spezza i canoni di quanto vorrebbe il cinema tradizionale in favore di uno spezzettamento cronologico che unisce realtà in digitale, momenti amatoriali attraverso riprese sgranate e desaturate, con anche uno sguardo sul mondo onirico.

Pian piano, infatti, Wright, decide di accompagnare lo spettatore ad abbandonare la realtà vera e propria, per spingersi nella psiche disturbata e fragile di Aaron.

Un’anima incorporea che vaga nelle profondità del mare, quella del fratello, e un’altra quella di Aaron, corporea, che viaggia sulla Terra alla ricerca di ritrovare se stessa, di ritrovare i ricordi del momento del naufragio che non ci sono più.

Se Platone diceva che una volta eravamo composti da due entità che poi si sono scisse e l’essere umano vaga per tutta la vita cercando questa completezza, Wright adotta lo stesso concetto applicandolo al rapporto tra fratelli. Aaron non è più se stesso da quando non ha più il fratello accanto, ma allo stesso tempo, con il procedere della pellicola, il rapporto tra i due prende un’altra piega e tutto quello che avevamo creduto fin prima, si frantuma, come la mente del protagonista.

Ma c’è anche la difficoltà di un ragazzo di trovare un posto nel mondo, che si prefigge di ritrovare quella ‘bestia’ che si porta via le persone in fondo al mare, per dare un senso alla sua esistenza, per fare qualcosa che possa finalmente rendere orgogliosa una madre che piange più per il fratello morto, che per la felicità di averne ancora uno al suo fianco.

L’aggrapparsi l’uno all’altro per ritrovare qualcosa che si è perso, fino a rischiare di perdere nuovamente se stessi. E’ questo il percorso di riconciliazione con la propria coscienza, le proprie paura più recondite che ci propone Paul Wright, ma anche un riconciliarsi con un passato che, mano a mano che il film procede, inizia a connaturarsi di colori diversi, fino a toccare i limiti del disturbante.

Sara Prian

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