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Prossima fermata: Fruitvale Station – Recensione

Storia vera, Prossima fermata: Fruitvale Station, il film di Ryan Coogler arriva sugli schermi nostrani dopo circa un anno dal grande successo ottenuto al Festival di Cannes e deve tutto il suo appeal, più che alla messa in scena e alla regia, quest’ultima altrettanto efficace, proprio alla morale insita in esso.

La notte di capodanno del 2009, mentre con la fidanzata e gli amici sta rientrando verso casa, Oscar Grant (Michael B. Jordan), 22 anni, viene prelevato dalla polizia della stazione metropolitana di Fruitvale, San Francisco, e aggredito violentemente da un poliziotto che perde la testa. Risultato: perforazione di un polmone a causa di un proiettile. Il tutto viene documentato da chi, accanto al ragazzo, ha ripreso con il telefonino.

Sebbene sia un fatto realmente accaduto, la terribile vicenda non è poi così nota qui in Europa, il regista Coogler l’ha così voluta far conoscere a tutti, penetrando direttamente nella coscienza dello spettatore internazionale.

Crudele violenza perpetrata dagli agenti di polizia, razzismo e l’uso a sproposito della tecnologia, questi i temi principali su cui si concentra la moderna pellicola, incentrata tutta sulla drammaticità di quelle ore a cavallo tra il 2008 e il 2009, quando Grant rimase vittima ed ostaggio di una situazione in cui si trovò per caso, subendo le angherie di chi solitamente è votato a proteggere le persone e non ha scagliarsi contro di loro.

Internet, i video e le immagini scattate durante la sommossa placata violentemente dagli agenti, la televisione e gli altri mezzi d’informazione, sin dalle prime scene del film, acquistano importanza, dimostrazione e chiaro messaggio del fatto che nel nuovo millennio, grazie alla comunicazione globale, i fatti più indegni tenuti nascosti, vengono portati alla luce (nella realtà, seguirono diverse manifestazioni, pacifiche e non, nei confronti delle forze dell’ordine).

L’opera sembra quindi apparire molto convincente, ma si tratta pur sempre della ricostruzione di un fatto accaduto e l’inserimento del protagonista nel suo contesto; la grande difficoltà e forse lo sbaglio grande di Coogler, e che può pregiudicare l’attenzione dello spettatore, è stato l’aver dato moltissimo, troppo, spazio alla sequenza iniziale (mezz’ora su una pellicola che dura 1 ora e 25 minuti) per far conoscere Grant, facendo accadere tutto nel tempo mancante.

Nonostante la buona interpretazione di Michael B. Jordan e Octavia Spencer e l’efficace regia che indugia in primi piani, che fanno trasparire il nervosismo e i sentimenti, la pellicola quindi, manca di quella fluidità che l’avrebbe consacrata come ottimo prodotto indipendente, rimanendo però un buon contenitore di argomenti importanti e di emozioni.

Alice Bianco

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