Divergent – Recensione in anteprima
Dal primo romanzo dell’acclamata trilogia scritta da Veronica Roth. Reduce da un conflitto sanguinoso, l’umanità del futuro ha deciso di preservare la ritrovata pace suddividendosi in un rigido sistema composto di fazioni a carattere psicologico ed attitudinale. Tra di esse: gli Eruditi, signori della conoscenza; gli Intrepidi, forti e coraggiosi, con funzione di esercito a difesa dell’ordine; gli Abneganti, miti e caritatevoli, collocati al governo in quanto al di sopra delle parti. La giovane abnegante Beatrice (Shailene Woodley) scopre da un test di essere una Divergente, ossia un soggetto ritenuto pericoloso perché non collocabile in alcuna categoria predefinita. Costretta ad imboccare una strada inaspettata per via di uno scherzo del destino, finirà per scoprire una macchinazione degli Eruditi volta alla conquista del potere. Come già in altre trasposizioni dalla cosiddetta “letteratura per giovani adulti”, in Divergent si avverte in sottofondo un qualcosa di meccanico e di artefatto che impedisce la totale partecipazione ed immedesimazione. Non sfugge poi ad altri difetti ricorrenti, dal peso di una lunga durata non così indispensabile (anche qui ci si domanda se gli eventi non si sarebbero dipanati più comodamente in una miniserie tv di due o più episodi) a piccole cadute nella frettolosità/prolissità (i due difetti sono speculari), soprattutto durante l’ultima mezz’ora. Al netto di tali considerazioni, gli spetta una posizione onorevole sul podio qualitativo del filone, forse al di sopra del primo Hunger Games e fortunatamente distante dalla noia paludata in cui sono affossati un “The Host” o un “Ender’s Game”. La regia di Neil Burger non è costellata di idee folgoranti, e neanche ne va in cerca, ma è innegabile la sua classe nel conciliare l’azione con il versante introspettivo del racconto. Segue i personaggi con cura evitando i tempi morti, regala in ugual misura sussulti e momenti di tensione palpabile, ed illustra gli spazi aperti con leggiadria dinamica. Sotto quest’ultimo aspetto si avvale del ricorso a dolly e piani sequenza, attraverso i quali ci catapulta nel vivo degli ambienti e delle atmosfere (nella scena del “volo” in soggettiva, però, il 3D sarebbe stato d’obbligo!). Non ultimo viene il merito di valorizzare a dovere il talento di una misurata e duttile protagonista, incarnante un’eroina tanto dolce e determinata quanto accattivante. Palesi e risaputi i messaggi politico-sociali, è vero, sebbene colga nel segno il discorso sulla tendenza delle dittature a manipolare il concetto di libertà. Una conclusione al cardiopalma fa da ponte verso un presumibile e ben accetto secondo lungometraggio.