Locke – Recensione
Un uomo solo nella sua auto, un “cavaliere solitario” e una lunga autostrada, una strada a senso unico verso un abisso, verso la fine di una vita quasi perfetta.
Locke è uno straordinario esperimento cinematografico: ottantacinque minuti che si svolgono interamente all’interno dell’automobile del protagonista, Ivan Locke (Tom Hardy). L’unica immagine di tutto il film è quella del volto dell’uomo che, alla guida della sua auto, ha appena lasciato il cantiere dove lavora a Birmingham diretto a Londra. E’ notte e le uniche luci che illuminano il suo viso sono quelle del traffico di un’arteria autostradale. Ivan ha lavorato sodo per costruirsi la sua vita ma ora tutto sta per crollargli addosso. Alla vigilia di un’importante inaugurazione di una storica colata di cemento che porrà le basi per uno degli edifici più alti d’Europa, l’uomo compie una sere di telefonate a sua moglie Katrina e ai suoi due figli. Ma Ivan riceve anche delle chiamate drammatiche da Bethan, una sua ex assistente e che ora aspetta un figlio da lui, frutto di un’unica notte in cui egli aveva ceduto a una donna sola, non giovane, non bella e che ora chiede la sua presenza in ospedale dove sta partorendo. Locke deve affrontare anche alcune chiamate di lavoro, tra cui quella del suo capo Gareth e del suo leale collega Donal del quale Ivan ha bisogno per terminare il suo lavoro e sovraintendere alla colata di cemento.
Una tragedia contemporanea, di grande portata morale ma teso come un thriller. Il messaggio di cui è portatore il tipo d’uomo rappresentato da Ivan Locke è chiaro: non sfuggire alle proprie responsabilità in nome di un senso del dovere figlio di una storia personale segnata dalle sofferenze derivanti da un padre codardo e assente. Assumersi il rischio delle conseguenze delle proprie scelte e dei propri errori è cosa ardua ma è ciò che rende un uomo, un uomo vero.
I nodi critici della vita di Locke si intrecciano nella fitta rete di telefonate che costruiscono l’intera ossatura del film. Lo spettatore vede solo Ivan, mentre gli altri personaggi sono solo voci all’altro capo delle sue telefonate: voci adirate, sconvolte, solo raramente divertite.
Un uomo che mette in gioco tutta la sua vita, che affronta i suoi dilemmi e i suoi demoni interiori per stare vicino a una donna che non ama e che sostanzialmente non conosce ma che sta per avere un figlio da lui. Ivan non torna a casa dalla sua famiglia e non sarà il mattino seguente al cantiere: decide di fare ciò che sente come la cosa giusta, per quel senso di responsabilità sconosciuto a suo padre, perché voltare le spalle di fronte alla realtà è da vigliacchi.
Locke è un uomo che fa un mestiere dall’alto valore simbolico. La storia del film è quella della costruzione di un edificio e allo stesso tempo della distruzione di una vita. Un solo errore può essere fatale, nel costruire un edificio ma anche nel condurre la propria esistenza. Un edificio è come una vita, può andare distrutto in pochi istanti.
Non a caso il protagonista è un capo cantiere di un grande sito in costruzione, il cemento è il suo pane quotidiano. Per tentare di rimediare a un suo errore, abbandona il suo posto proprio in un momento cruciale. Scegliendo di costruire le fondamenta per la sua vita futura, Ivan mina il terreno sotto ai suoi stessi piedi.
Il film è stato girato in sole otto notti all’interno di un’auto dentro cui erano collocate diverse macchine da presa digitali mentre le conversazioni tra il protagonista e gli altri attori (posizionati in una stanza d’albergo appositamente equipaggiata) sono state registrate in tempo reale per conferire maggiore immediatezza. Grazie anche a una sapiente sceneggiatura, Locke ha il grande pregio di tenere alta la tensione per tutta la sua durata mentre la storia è raccontata in tempo reale. Grande merito va al suo unico protagonista Tom Hardy (già visto ne La talpa, Inception e Il cavaliere oscuro – Il ritorno di Christopher Nolan dove era il cattivo mascherato Bane) che mette in scena una performance solitaria davvero maiuscola.
Il regista Steven Knight (qui al suo seconda opera dopo Redemption – Identità nascoste e già nominato all’Oscar per la sceneggiatura de La promessa dell’assassino di Cronenberg) ha parlato del suo film minimalista come di una sorta di installazione, “qualcosa che si potrebbe vedere in una galleria”.
E certamente Locke ha il fascino e la potenza visiva e drammaturgica di un’opera d’arte contemporanea di alto livello, che pone al centro un uomo senza le viltà che spesso il cinema mostra come caratteristiche proprie del maschio contemporaneo, un eroe che non impugna armi ma che tiene stretto tra le mani solo un volante, un viaggiatore sull’autostrada della vita che, in modalità viva-voce, mostra coraggiosamente di essere capace di distruggere tutta la sua esistenza in nome di un principio etico.
Un principio ormai spesso fuori moda.
Elena Bartoni