Ritual – Una Storia Psicomagica – Recensione
Liberamente tratto dal libro ‘La danza della realtà’ del maestro Alejandro Jodorowsky, ‘Ritual – Una storia psicomagica’, esordio alla regia per i giovani Luca Immesi e Giulia Brazzale, è un film sorprendente che si trasforma in un thriller, dai risvolti magici quasi fiabeschi alla ‘Alice nel paese delle meraviglie’, sullo sfondo di un’attenta analisi della società moderna e che dimostra, ancora una volta, come i giovani filmaker italiani possano dare tanto anche con opere impegnate soprattutto dal punto di vista estetico.
La giovane e fragile Lia (Desirèe Giorgetti) si trova coinvolta in un rapporto masochista con Viktor (Ivan Franek), un sadico e narcisista avvocato 40enne. Il loro equilibrio malato viene rotto quando Lia rimane incinta e l’uomo la spinge all’aborto, mandando la donna in pezzi. Lia decide così di tornare in un paesino del Veneto dove abita la zia, guaratrice del villaggio, che cerca di curarla attraverso la psicomagia, ma qualcosa non andrà nel verso sperato.
Evocativo ed estetizzante, a metà strada tra le superstizioni arcaiche e la frenesia moderna, ‘Ritual’ supera le aspettative regalandoci un’opera che riesce a sorprendere sia dal punto di vista visivo, con una fotografia interessante ed affilata, che dal punto di vista contenutistico.
Le sue atmosfere, a tratti disturbanti, colgono in pieno lo spirito della sceneggiatura e trovano nei suoi due protagonisti l’apice della sua esplicazione. Attraverso le loro nevrosi, unite ad un legame fortissimo con il passato, in special modo di Lia ancorata alle superstizioni di una volta del suo piccolo paese di campagna e che regredisce alla sua gioventù in uno spazio fuori dal tempo, che potrebbe essere anche metaforicamente un paradiso infernale, Ritual ci porta a vivere tra realtà vera e propria e la realtà immaginaria della mente così affascinante, ma allo stesso tempo destabilizzante.
Tutta la pellicola vive delle intuizioni e delle contaminazioni dell’universo di Jodorowsky che trova il suo apice proprio nella psicomagia, metodo da lui stesso teorizzato, dove si spinge il proprio paziente ad un percorso di auto guarigione attraverso la ‘manipolazione’ della mente.
Non fatevi ingannare però, questo non vuol dire che il film sia una pellicola surrealista pronta per stare più ad un esibizione d’arte che dentro le mura del cinema. Ritual, infatti, ha una struttura da thriller fusa con gli elementi onirici che ci ricordano Aronofsky tanto quanto Lynch. A questo i due bravi registi aggiungono l’inquietudine che si riesce a far emergere dai piccoli paesi italiani che ancora vivono di supersitizioni antichi riti, miti e leggende.
Il tutto condito da una componente visiva di sicuro impatto, con una fotografia asettica degli interni contrapposta all’imponenza degli esterni, dove la modernità e contemporaneità opprimenti si scontrano con la lentezza e l’effetto rigenerante che hanno quei luoghi del nostro passato. Attraverso questo distico, Ritual riesce anche a cambiare registro in corso d’opera e, mentre all’inizio siamo davanti a due protagonisti adulti, man mano che cambiamo progressivamente location, i due raggiungono una dimensione infantile, permettendo così alla sceneggiatura di indagare sulla psiche umana in maniera complessa e completa.
Sicuramente la recitazione un po’ troppo dilettantistica in alcune parti abbassa il livello dell’opera che comunque rimane uno di quei rari gioielli del nostro cinema che, ispirandosi ai grandi e contemporanei maestri americani, ci regala una pellicola ricca di fascino ed inquietudine.
Sara Prian